Outbound e inbound.

Inbound e outbound. Due mondi complementari

Inbound marketing e outbound marketing.

Credo che, anche se non si è completamente sicuri dell’esatta definizione, ambedue sono cose che in azienda già fate, per promuovere i vostri prodotti e i vostri servizi.

Giusto per significare la cosa subito. Se fate pubblicità su riviste, mandate e-mail, fate fiere di settore, state facendo outbound (mandate fuori informazioni). Se scrivete articoli sul vostro sito o sul vostro blog, state facendo inbound marketing (le persone portano dentro di loro informazioni che voi date).

Negli ultimi tempi si è molto parlato di inbound marketing, spesso come alternativa all’outbound. Ma non credo valga la pena per un’azienda ragionare in questo modo perché inbound e outbound sono complementari e uno senza l’altro semplicemente non funzionano.

Prima di farci una ragionata, vediamo brevemente cosa significa (o si intende) in maniera un po’ più approfondita per inbound e outbound marketing, almeno secondo le definizioni che oggi possono essere attribuibili alle due parole, soprattutto perché gli utensili per la comunicazione cambiano e variano in maniera molto veloce.

Inbound e outbound. Rapida definizione

Gli inglesismi sono molto utili perché hanno la capacità di condensare in una parola un intero processo o significato. Questo calza perfettamente per outbound e inbound (non sempre in altri ambiti).

Con outbound marketing si intende l’insieme delle azioni di promozioni e marketing dove noi, come azienda, contattiamo chi riteniamo possa essere interessato ai nostri prodotti o servizi. Quindi l’azione è principalmente svolta da noi aziende. Come lo facciamo?

Usando il telemarketing, la posta tradizionale, la TV, la radio, inviando tramite mail campagne pubblicitarie o promozioni, newsletter, ADWords, campagne Facebook, pubblicità su riviste di settore, cataloghi fiere. Metterei per completezza nella lista anche gli eventi fieristici e le porte aperte (open house).

Per inbound intendiamo quelle azioni di marketing cha scattano quando è il potenziale cliente che ci cerca, perché ha intuito un’opportunità o vuole risolvere un problema o semplicemente cerca di approfondire le sue conoscenze su una tematica in previsione di un acquisto o una scelta importante. Gli utensili da usare sono la produzione dei contenuti (testuali, video, grafici) e una buona strategia di marketing SEO.

Le differenze tra i metodi e un esempio pratico

Le differenza tra le due azioni, inbound e outbound, sono notevoli e anche in termini di risultati. L’outbound tende a “inserirsi” nella vita delle persone mentre l’inbound soddisfa un’esigenza che nasce dalla persona stessa.

L’outbound è stato molto pervasivo in passato e per questo ha creato attorno a lui una sorta di diffidenza, una cosa da cui difendersi. Da qui l’inbound (soprattutto per il lavoro svolto da Hubspot in questo senso) ha preso piede. Le informazioni sono disponibili in rete (l’inbound è principalmente informazione in rete) solo quando sono effettivamente cercate dalle persone per uno scopo.

Soprattutto con l’avvento del digitale e della quantità di contenuti disponibili, l’inbound si è molto evoluto e raffinato, utilizzando tecniche sempre più interessanti per fare in modo che l’informazione cercata su un determinato prodotto o servizio che guarda caso noi offriamo, esca fuori tra le prime pagine di Google ed esca fuori come fornita dal nostro brand.

L’inbound prevede poi che le informazioni fornite siano coerenti con il viaggio d’acquisto (purchase o customer journey) della persona.

All’inizio del viaggio inutile fornire sconti o informazioni super tecniche ma meglio illustrare opportunità e vantaggi.

Viceversa fornire informazioni tecniche e comparazioni è indicato quando la persona è vicina all’acquisto è vuole essere sicura della bontà della sua scelta (inutile invece se è solo all’inizio del suo processo di valutazione tali informazioni creerebbero solo confusione e rifiuto)

Esempio pratico. Se vendiamo ventilatori da soffitto, potremmo fornire informazioni di come un ventilatore possa fornire refrigerio, dare le informazioni sulla scelta del giusto ventilatore per il nostro ambiente e magari mostrare qualche breve video con testimonianze circa i vantaggi di tale scelta.

Non stiamo vendendo nulla, se non la nostra esperienza e la capacità di fornire consigli utili a chi sta cercando notizie sui ventilatori perché è molto caldo oppure pensa di installarne uno dopo averlo visto a casa d’amici. Siamo all’inizio di un processo decisionale

Tale flusso d’informazioni dovrebbe poi condurre la persona interessata ad approfondire l’offerta che la nostra azienda propone in termini di ventilatori da soffitto e far chiedere informazioni alla nostra forza commerciale tramite un’apposita richiesta di contatto sul nostro sito.

Come vedete, il punto di partenza è la volontà da parte della persona di cercare informazioni a seguito di un’idea o di uno spunto arrivato da fonti esterne (l’amico).

Ora, ci possono essere anche altri modi per destare curiosità, attenzione sui nostri prodotti ed è quello che si fa con l’outbound.

Una pubblicità su una rivista di settore, se ben fatta, può dar vita al processo decisionale della persona. Una visita al nostro stand durante la fiera può far scattare l’interesse verso le nostre soluzioni.

Combinazioni di inbound e outbound nel nostro piano di marketing

La combinazione tra outbound e inbound sviluppa un piano di marketing e comunicazione abbastanza completo che ha una duplice funzione:

  1. Generare interesse sui nostri prodotti per produrre vendite e far emergere il nostro marchi non come un mero venditore di prodotti
  2. Capace di educare, guidare e consigliare una scelta per un eventuale acquisto.

Di questi esempi ne trovate diversi. Velux Italia, che vende finestre per mansarde, propone una ricca sezione di consigli utili di come ristrutturare il sottotetto.

Con Roland abbiamo fatto tempo fa diverse guide che volevano illustrare il funzionamento di una determinata tecnologia per far valutare opportunità di business o semplicemente approfondire la conoscenza di un prodotto. Oppure, cambiando campo, suggerire la scelta di un buon cappotto con contenuti all’interno di un e-shop, come fa Lanieri.

Chi fa inbound solitamente fa anche outbound, in modo che si possa innescare un interesse e far partire il processo di ricerca sul marchio oppure per rinforzare la decisione d’acquisto che la persona sta prendendo perché vede che il marchio è presente, ad esempio, su riviste e fiere di settore ed è quindi affidabile.

Al di la delle definizioni.

Outbound, inbound, marketing tradizionale, marketing digitale e molto altro.

Tra gli addetti ai lavori si cerca giustamente di definire gli ambiti delle azioni di marketing per riuscire meglio a contestualizzare piani e azioni, soprattutto se si coinvolgono elementi esterni come agenzie creative, web, freelance ecc.

La mia personale idea è quella che nessuno dei due sostituisce l’altro e debbono essere adeguatamente pianificati nel nostro piano di marketing.

Rispetto al passato, quello che cambia è che bisogna garantire al marchio una presenza sui vari canali, soprattutto web, con informazioni utili per chi ci legge e che escano fuori dal rumore generato dalle tantissime informazioni su ogni argomento presenti oggi su internet (informazioni di valore per il lettore e non finalizzate solamente alla vendita).

Molti dei processi decisionali spesso vengono fatti in modo autonomo sulla rete e la credibilità di un marchio rispetto all’altro si misura anche da come esso è capace di informare e guidare nelle scelte.

Per chiudere

Un tempo si diceva che internet fosse più economica del mondo tradizionale di advertising.

Questo non è vero.

Una presenza outbound richiede si un investimento immediatamente quantificabile (costo di una pagina, di una campagna FB o di una fiera) mentre quello inbound, che si basa principalmente  sui contenuti, diventa difficilmente quantificabili perché spesso lo si fa internamente e con persone che non hanno come competenza principale la creazione di contenuti.

In realtà proporre un inbound povero, superficiale o mal distribuito sul web, oltre a non produrre nessun risultato, è spesso deleterio per il marchio (come una brutta pubblicità).

Ambedue hanno bisogno di presenza, budget e qualità nella realizzazione. Ma i risultati verranno fuori. Garantito.

Vittorio Neri