Scopriamo gli inchiostri UV arancione e rosso di Roland DG

Roland ha recentemente presentato gli inchiostri Rosso e Arancione da usare sulle sue stampanti UV della serie LEC2 e LEC2 S. Vediamo perché e cosa possiamo stampare con questi due nuovi colori spot.

Inchiostri UV Roland
Inchiostri UV Roland

Cos’è l’inchiostro UV, come è fatto e come viene stampato

Abbiamo parlato diffusamente della tecnologia UV in questa pagina, descrivendo sia l funzionamento della tecnologia che le varie applicazioni.

Per ricapitolare velocemente il funzionamento della stampa UV prima di parlare più diffusamente dei colori rosso e arancione, diciamo che il sistema funziona come una normale stampante inkjet, a tecnologia piezoelettrica nel caso di Roland.

Stampa UV su oggetti
Stampa UV su oggetti

L’inchiostro però, una volta espulso dalla testina, invece di penetrare nel materiale come nel caso degli ecosolventi o dei latex, rimane in superficie e viene immediatamente asciugato (sarebbe meglio dire polimerizzato), da lampade UV (che sono a LED nel caso di Roland). L’inchiostro si trasforma in una sorta di sottile film sul supporto.

La composizione degli inchiostri UV

L’inchiostro UV contiene in genere quattro componenti: i foto iniziatori, i pigmenti, i monomeri e gli oligomeri.

I monomeri sono i mattoncini dell’inchiostro, e contribuiscono alla flessibilità e all’estensione dello stesso, alla sua durezza o morbidezza e infine la viscosità. Questi parametri sono essenziali per la gamma di superfici da stampare. Gli oligomeri sono delle resine e lavorano sulla parte adesiva dell’inchiostro per i vari substrati.

Le serie LEC2 S UV flatbed di Roland DG
Le serie LEC2 S UV flatbed di Roland DG

I pigmenti invece danno il colore all’inchiostro. Pensate che un pigmento, per essere usato, deve avere un diametro più piccolo di un capello. Queste micro particelle nanometriche macinate in appositi cilindri, sono poi rivestite per evitare che si attacchino l’un l’altra e blocchino gli ugelli della testina. Questo è fondamentale per la corretta dispersione dell’inchiostro nel liquido veicolo dell’inchiostro e, in ultima analisi, della qualità di stampa.

Quando esposti alla lampada UV, i foto inizializzatori attivano il processo di polimerizzazione degli oligomeri e monomeri, che raggruppano le molecole dell’inchiostro in strutture reticolari specifiche. Per questo il processo viene anche chiamato reticolazione.

La polimerizzazione avviene tramite raggi UV emessi dalla lampada UV LED di specifica lunghezza che attivano i foto inizializzatori

Polimerizzazione
Polimerizzazione tramite lampada UV

Depositandosi sopra le superfici senza penetrarle e venendo asciugato immediatamente senza bisogno di aria (a differenza delle altre tecnologie eco-solvente, latex e base acqua), l’inchiostro UV può essere usato su tantissimi tipi di supporti, da quelli plastici (Metacrilato, PMMA, PVC, PVC Forex ™, DBond ™, Polipropilene), al legno, carte, cartoncini, vinili, pietre e marmi, pelle naturale e sintetica.

Stampa cover con inchiostri UV
Stampa cover con inchiostri UV

Anche superfici più particolari come il vetro, il metallo o la ceramica, possono essere stampate con l’aggiunta di primer, cioè di una sostanza che stampata prima della stampa effettiva sulla superficie del materiale genera un vero e proprio rivestimento, permette poi il grip e quindi la stampa degli inchiostri.

L’uso degli inchiostri UV

Gli inchiostri UV, ed è il caso sicuramente di quelli Roland serie ECO-UV, tendono a essere multiuso, stampabili su molti materiali con una resistenza allo sfregamento e un’elasticità ed estensione ottimale su diverse superfici, per coprire tutti gli usi, dalla stampa pubblicitaria a quella industriale. Gli inchiostri ECO-UV EUV5 hanno anche la prestigiosa certificazione GreenGuard Gold, che assicura che gli inchiostri siano esenti da componenti volatili (VOCs) una volta polimerizzati, che li rendono ideali per applicazioni all’interno.

Nel caso di Roland, la qualità del pigmento e della tecnologia di stampa adottata porta a risultati qualitativi al di sopra della media del settore, con una ricchezza di dettaglio e di cromia molto alti.

Ultimo, oltre agli inchiostri e al primer, le stampanti UV Roland sono equipaggiate con vernici trasparenti per effetti lucidi o opachi, a rilievo, tattili o pattern predefiniti. Si stampano esattamente come gli inchiostri e vengono polimerizzati allo stesso modo. Il tempo e l’esposizione della vernice trasparente (altresì chiamata gloss o glossy)  ai raggi UV creano l’effetto opaco o tridimensionale. Un completamento perfetto per aggiungere un valore unico alla stampa UV. Tali effetti possono esser aggiunti in specifiche zone della grafica, come loghi, immagini o dettagli.

Effetti materici con vernici gloss
Effetti materici con vernici gloss

 

Il rosso e l’arancione nella stampa UV

Entriamo ora nel dettaglio dei colori rosso e arancione disponibili sulla serie ECO-UV di Roland per le stampanti UV LEC2 e LEC2 S.

I nuovi inchiostri rosso e arancio (chiamati in gergo colori spot o tinte piatte) si uniscono a quelli già disponibili della quadricromia e del bianco e derivano da pigmenti organici. Posseggono un’ottima estensibilità e flessibilità, la giusta trasparenza e resistenza agli agenti esterni, per applicazioni di comunicazione visiva, prototipazione packaging, personalizzazione in ambito industriale e produzione etichette.

Ma perché aggiungere questi colori spot alla quadricromia? Vediamolo insieme.

I vantaggi degli inchiostri rosso e arancione

L’uso della sola quadricromia CMYK (dove C sta per ciano, M sta per magenta, Y sta per giallo – yellow in inglese – e nero, chiama to anche key colour, da qui la K o per altri Black) con specifici retini consente la stampa del più ampio gamut cromatico di colore raggiungibile con un set minimo d’inchiostri (appunto i quattro della quadricromia). Tale gamut cromatico riproducibile è comunque meno di quello che l’occhio umano riesce a percepire e minore di quelli di cui avremmo bisogno per alcuni progetti grafici da stampare.

Comparazione del gamut
Comparazione del gamut

In stampe dove abbiamo bisogno di tinte particolarmente brillanti, come appunto arancio e rosso (es. loghi con arancione o rosso, albe e tramonti, rossi intensi),  la quadricromia, che sovrappone magenta e giallo per ottenerli, tende a “spegnere” un po’ queste tonalità.

Anche se la quadricromia standard in uso sulle macchine UV Roland già da sola da dei risultati molto buoni, al di sopra della media di stampanti della stessa classe, l’aggiunta dei colori rosso e arancio alla quadricromia, permette di espandere il già ottimo gamut riproducibile, aumentare la vividezza e la brillantezza dei colori e riprodurre anche quelli fuori scala sui rossi e gli arancioni. Si pensi come esempio all’arancione Fanta o Wind, al rosso Honda, Ferrari o Coca-Cola, all’arancione KTM.

Alcuni esempi di applicazioni con rosso e arancione
Alcuni esempi di applicazioni con rosso e arancione

L’uso dell’arancione e rosso nei progetti grafici

Con tale gamut, arricchito da questi colori, riusciamo a riprodurre grafiche che hanno un impatto visivo molto più ricco e caldo (arancio e rosso sono appunto definiti due colori caldi nello spettro colore)  e grafiche che si basano su arancione e rosso in maniera molto più incisiva.

Possiamo quindi progettare e stampare grafiche che hanno colori più forti o più impattanti. Possiamo riprodurre loghi di brand. Oppure possiamo integrare nel nostro progetto i colori Pantone ©  o tinte RAL che non erano prima riproducibili con la quadricromia standard.

Poter coprire anche i colori Pantone© poi, consente di accelerare l’identificazione e la riproduzione del colore del cliente, evitando di perdere tempo per trovare la giusta combinazione in quadricromia.

L’uso del rosso e dell’arancione infatti aumenta  la riproduzione dei colori Pantone ©, che passa dall’81,5% della quadricromia all’88,85%. Un risultato al di sopra della categoria delle stampanti UV di questo tipo.

LEC2 Roland 330 e 640
LEC2 Roland 330 e 640

Rosso e arancio in VersaWorks

I colori rosso e arancio hanno librerie specifiche Roland Color System Library in VersaWorks, il software RIP in dotazione con le stampanti Roland, per la stampa delle tonalità riproducibili con questi due colori per trovare subito quello che il cliente ci ha chiesto da riprodurre. Basta stampare la libreria e confrontarla con il colore richiesto.

Libreria Versaworks
Libreria Versaworks

Questo è un passaggio importante. Nella stampa digitale gli inchiostri vengono miscelati durante la stampa per ottenere il colore desiderato. Per riprodurre in modo fedele la resa di queste tinte, dobbiamo considerare un Delta E, cioè la differenza tra l’originale e quello da noi stampato, tale che l’occhio umano non percepisca la differenza (Delta indica la differenza mentre E sta per Empfindung, dal tedesco sensazione. Questo valore, misurabile con un densitometro o uno spettrofotometro, di solito deve essere pari o meno di due, ma per alcuni progetti differenze più alte sono accettabili).

True Rich Color

In combinazione con l’impostazione di VersaWorks True Rich Color, l’impatto della grafica stampata è ancora più impressionante, preservando i passaggi tonali, le sfumature e il bilanciamento dei colori, e ne raccomandiamo l’uso quando si lavora su grafiche per interni o retroilluminati.

 

Infografica dei mercati raggiungibili con periferiche UV
Infografica dei mercati raggiungibili con periferiche UV

 

L’inchiostro bianco nella stampa digitale

Lavorando ultimamente ad alcuni progetti su prodotti di stampa per la mia azienda Roland, sono stato incuriosito dall’inchiostro bianco, che spesso usiamo nella stampa digitale di grande formato ma che ha sempre un’aurea di colore particolare.

Ho pensato allora di approfondire l’argomento, mettendo insieme informazioni sull’inchiostro bianco che spesso si trovano in maniera disaggregata ma che possono aiutare a capire l’uso e lo scopo di avere un colore a disposizione che, seppur difficile, è capace di dare invece grandi soddisfazioni.

Il colore bianco nella storia e nella simbologia.

Il bianco è sin da sempre un colore iconico e ricco di significati.

Già nell’antico Egitto era segno di onniscienza, purezza e innocenza e tali caratteristiche, assieme alla spiritualità e alla voglia di cambiamento, sono ancora valide e intese ai giorni nostri (si pensi ai vestiti da sposa oppure i camici bianchi dei medici o nelle funzioni religiose).

Il famoso White Album dei Beatles
Il famoso White Album dei Beatles

 

 

 

 

 

 

 

Il bianco è da sempre in contrasto con il nero, per esprimere appunto un concetto opposto (si pensi alla notte e al giorno, allo yin e allo yang), tanto che Kandinskij definisce il colore bianco come l’armonia del silenzio, ma altresì pieno di possibilità, abbracciando appunto tutti i colori dello spettro luminoso.

Credit Robin Schreiner Unsplash
Credit Robin Schreiner Unsplash

Da sempre utilizzato nelle tecniche rappresentative e pittoriche, sia come colore puro che per effetti su altri colori, il bianco è stato sempre un elemento primario nella riproduzione, sino ai giorni nostri e, come vederemo, nella stampa digitale di grande formato.

 

L’inchiostro bianco e la stampa digitale di grande formato

Di norma, il bianco non è un colore che troviamo come standard nelle stampanti digitali. E’ un colore complesso nella creazione e nella gestione, e come ogni cosa importante, richiede attenzione e consapevolezza nell’uso.

Il bianco è acromatico, cioè non ha tonalità. Per questo non può essere creato miscelando altri colori della quadricromia (CMYK) o quadricromia estesa (CMYKLcLmLk). Quindi, esso viene creato come colore apposito. La sua composizione gli permette di riflettere il 97,5% della luce.

L’inchiostro bianco è ottenuto dall’uso di pigmenti di biossido di titanio miscelato al veicolo, liquido che funge da trasporto del pigmento e da legante, che appunto lega gli elementi insieme agli additivi vari che servono per la fluidità, per evitare che l’inchiostro si ossidi o si asciughi prima dell’uso (spiegazione semplificata, ci perdoneranno i più tecnici).

Se in media un inchiostro arriva da avere un pigmento in percentuale fino al 20%, nel caso del bianco arriviamo fino al 50%.

Roland SC-545EX. Stampa e taglio con bianco del 2005
Roland SC-545EX. Stampa e taglio con bianco del 2005

Heavy White

Questa particolare composizione  e l’alto contenuto di pigmento, ci fa subito capire che il bianco è un colore “pesante”, dove appunto il pigmento tende naturalmente a sedimentare e staccarsi dal veicolo.

Un po’ come succede con i succhi di frutta, dove la parte più “pesante” si deposita nella parte sottostante del contenitore, e dobbiamo quindi agitare la bottiglia prima di bere, così accade con l’inchiostro bianco.

Il pigmento, quando l’inchiostro non è in uso, si stacca dal veicolo e tende a depositarsi a causa del suo peso. Questo accade nella cartuccia così come nel circuito idraulico (i tubi e i damper della testina). Se stampassimo in questa maniera, senza tener conto della sedimentazione, avremo dei problemi nella riproduzione del bianco, con zone più chiare e altre più scure.

Per ovviare a ciò, le periferiche che usano inchiostro bianco (per esempio le Roland TrueVIS con inchiostri ecosolvente, VersaUV con inchiostri UV oppure anche con le tecnologie latex o DTG) hanno sistemi di circolazione forzata dell’inchiostro, che miscela e muove l’inchiostro nel circuito idraulico a intervalli predefiniti, proprio per evitare depositi.

In più, di norma, se s’installa una nuova cartuccia di bianco, oppure prima di iniziare la stampa giornaliera o una volta a settimana, se il bianco è usato raramente nella stampa, bisogna “shakerare” la cartuccia per ripristinare il giusto equilibrio degli elementi.

Per sua natura poi, il bianco ha un costo d’esercizio più alto (all’invio dei dati, il plotter espelle sempre una piccola quantità d’inchiostro per assicurare che la testina sia pronta per stampare), bisogna usare velocità di stampa più basse rispetto allo standard e, a seconda dell’opacità o della copertura che vogliamo ottenere, effettuare più passate di stampa.

Detto questo, capiamo perchè, come abbiamo detto all’inizio,  il bianco non è un inchiostro facile e le stampe che includono questo colore avranno ovviamente un prezzo più alto.

Una volta capito come usare il bianco e cosa realizzare, il suo uso da grandi soddisfazioni e ci permette di spingerci più in la nella nostra proposta grafica alla clientela, su applicazioni e servizi più remunerativi. Vediamo quindi dove usare l’inchiostro bianco nella stampa digitale di grande formato le applicazioni possibili.

Inchiostro Bianco Roland
Applicazioni grafiche con inchiostro bianco Roland

L’uso dell’inchiostro bianco nella stampa digitale

Avrete sicuramente notato che la maggior parte dei supporti che usiamo per stampare le nostre grafiche sono bianchi. Questo perché il bianco lo otteniamo semplicemente non stampando sulle parti che vogliamo siano bianche.

Nelle applicazioni più di pregio o particolari però, tendiamo a usare supporti colorati, metallizzati, trasparenti o traslucenti. Qui l’uso dell’inchiostro bianco non solo è necessario, ma indispensabile per creare quegli effetti di contrasto che fanno risaltare la grafica finale.

Come accennato prima, l’inchiostro bianco, di suo, è un colore leggero, quindi le coprenze necessarie si ottengono stampando più strati, la cosiddetta sovrastampa, fino a quando il supporto che stiamo stampando è coperto nella misura in cui ci siamo prefissi, in base anche all’assorbenza del supporto stesso.

Spesso chiamato quinto colore o definito colore spot, l’inchiostro bianco fa appunto differenza su carte o supporti colorati, neri, trasparenti, materiali con sfumature particolari, supporti iridescenti, metallizzati, trasparenti cartoncini o carte kraft.

Qui l’uso del bianco diventa parte integrante del progetto grafico per l’aggiunta di effetti unici e on-demand, per piccole produzioni, pezzi unici o prototipi e mock-up.

Inchiostro bianco
Vetrina con inchiostro bianco

Gli usi più comuni dell’inchiostro bianco

L’inchiostro bianco si usa da solo (W), in aggiunta al nero (W+K) oppure in aggiunta alla quadricromia CMYK, in combinazione con la quadricromia estesa CMYKLcLmLk (stampabile prime o dopo, a seconda del tipo di progetto grafico W > CMYKLcLmLk o CMYKLcLmLk > W). Proprio nel progetto grafico, il bianco può essere appunto stampato come colore solido o più trasparente.

Nella stampa digitale di grande formato, l’inchiostro bianco può essere usato per definire i contorni di una stampa a colori e farne risaltare la nettezza.

Essendo opaco, non permette che la luce passi attraverso di esso. l’inchiostro bianco quindi fa risaltare gli altri colori rendendoli più vividi, quando il bianco viene stampato prima, su carte scure e supporti più assorbenti. Da notare che l’opacità si regola secondo il numero di passate di stampa di bianco che si fanno.

Quadricromia e bianco
Quadricromia e bianco

Essendo poi più visibile (ricordiamoci che riflette il 97% della luce), è perfetto per grafiche a tinta bianca su supporti scuri o colorati, con un contrasto che rende l’immagine profonda e dettagliata.

Non ultimo, se usato come base su supporti traslucenti o trasparenti (adesivi, vetrofanie) restituisce pienamente la giusta tonalità agli altri colori della quadricromia.

Uso del bianco su altri colori e supporti trasparenti
Uso del bianco su altri colori e supporti trasparenti

Su che tecnologia di stampa digitale di grande formato è disponibile l’inchiostro bianco

Il bianco oggi è disponibile su diverse tecnologie di stampa digitale come l’ecosolvente, l’UV, il tessile e ultimamente anche nel latex.

Roland, già nel 2005, ha introdotto l’inchiostro bianco sulla stampa inkjet ecosolvente con il modello SC-545EXW, e negli inchiostri UV nel 2008 con il modello LEC-300, raffinandola e migliorandola nel corso degli anni. Per completezza bisogna dire che nelle sue macchine a trasferimento termico come la serie ColorCAMM lanciata nel 1995, Roland forniva già nastri di colore bianco per i lavori descritti prima.

Grazie a questa esperienza, che posso dire unica nel settore della stampa digitale di grande formato senza far torto a nessuno degli altri grandi marchi che popolano la stampa digitale di grande formato, oggi Roland ha ampliato l’uso dell’inchiostro bianco e lo troviamo nelle serie TrueVIS (inkjet ecosolvente stampa oppure stampa&taglio), VersaUV (la famiglia di prodotti a inchiostri UV che includono stampanti flatbed, roll-to-roll stampa&taglio e formati benchtop), Direct-to- Garment e Direct-To-Textile.

Giusto per contestualizzare meglio l’evoluzione texnica che Roland ha portato nell’uso dell’inchiostro bianco in tempi così stretti, la famiglia latex ha potuto beneficiare dei primi inchiostri bianchi su stampanti per supporti rigidi solo dopo 10 anni l’introduzione ufficiale dell’inchiostro latex (2008 > 2018) e 13 anni per averli su sistemi roll-to-roll (2008 > 2021). Questo testimonia come implementare il bianco non sia una cosa tecnologicamente così immediata e richiede conoscenza tecnologica e progettuale.

Alcuni effetti 3D con stampa UV e bianco di sfondo
Alcuni effetti 3D con stampa UV e bianco di sfondo

Bianco ecosolvente e UV

Due tipologie d’inchiostro meritano un passaggio ulteriore perchè sono sicuramente tra le più usate e consolidate: ecosolvente e UV.

L’inchiostro ecosolvente penetra nel materiale e diventa tutt’uno con esso mentre l’inchiostro UV si sovrappone alla superfice del materiale, da qui una maggiore versatilità e copertura per supporti più particolari, anche meno porosi.

Per la natura delle tecnologie, le coperture tra ecosolvente e inchiostri UV sono diverse, così come i materiali che si utilizzano.

Utilizzando l’UV quindi, avremo quindi una coprenza maggiore ma con e le operazioni di sovrastampa, si raggiungono ottimi risultati anche con l’ecosolvente.

Ovviamente, molto dipende dal materiale che andremo a stampare e dalle applicazioni che vogliamo realizzare. Le vediamo sotto.

Alcune differenze

Di norma, l’inchiostro UV asciuga (polimerizza sul materiale grazie alle lampade UV) quasi immediatamente, mentre quello ecosolvente necessita di più tempo per l’asciugatura.

In ogni caso l’asciugatura è fondamentale, soprattutto per materiali che assorbono meno l’inchiostro. Ancor più importante se il bianco che stiamo stampando servirà da sfondo ad altri colori che vi stamperemo sopra.

Un’altra differenza tra le due tecnologie, ecosolvente e UV, è che gli inchiostri della prima non hanno praticamente scadenza mentre i secondi scadono dopo un certo periodo.

Il mio consiglio è, una volta identificata la tecnologia più confacente ai vostri obiettivi, di capire le applicazioni e la quantità di lavoro di massima che vi proponete di fare e di eseguire con il vostro rivenditore delle prove per valutare al meglio la resa sui materiali.

Applicazioni con inchiostro bianco

E veniamo finalmente alla parte applicativa. Mi sono dilungato un po’ ma era importante avere una panoramica di tutti gli aspetti dell’inchiostro bianco in modo da poter meglio capire come utilizzarlo nel vostro business. Le applicazioni descritte sono in larga parte riproducibili sia con tecnologie ecosolvente che UV. Discorso a parte per il bianco tessile (sostanzialmente un base acqua) che affronteremo in separata sede.

Carte o substrati scuri o colorati

Carte e cartoncini scuri, metallizzati, iridescenti sono materiali perfetti per le applicazioni con l’inchiostro bianco. Sia per riproduzioni di una grafica singola (ad esempio riproduzioni di un’immagine in bianco su supporto nero) o per la progettazione di mock-up, prototipi, immagini fotografiche a più colori, l’uso del bianco per particolari specifici dell’immagine o come sfondo per la stampa di altri colori, permette di avere effetti molto particolari, evidenziare i colori, diminuire l’opacità del supporto scuro e conservare la matericità del prodotto.

Tanti i prodotti realizzabili tra cui citiamo inviti, biglietti, cartoline, segnalibri, copertine, confezioni, display per punti vendita e poster.

Bianco su bianco

Usando diversi livelli di opacità e stampando bianco su bianco su substrati bianchi, è possibile creare effetti visuali dovuti appunto alle differenze di tonalità tipo “watermark”. Immaginate icone o disegni che su sfondo bianco o bianco sporco risaltino creando delicati effetti grafici.

Effetti dimensionali

Su substrati scuri, è possibile sovrapporre la stampa di vari disegni o icone che hanno opacità bianche differenti. In questa modalità, si creano effetti dimensionali di profondità. Immaginate, allo scopo, dei disegni di cristalli di neve che possono essere stampati in maniera sovrapposta per creare profondità nella grafica.

Bianco su bianco ed effetti dimensionali
Bianco su bianco ed effetti dimensionali

Bianco come primer

Su materiali scuri o con superfici irregolari come ceramiche, pietra, laminati, legno o MDF il bianco può essere usato a mo’ di primer su cui poi stampare la grafica, lasciando parte del fondo del materiale originale visibile. Questa combinazione crea degli effetti molto particolari e di sicuro impatto.

Bianco come sfondo
Bianco come sfondo

Proofing per packaging e prototipi

Una delle applicazioni principe, dove il bianco viene usato molto spesso. Infatti, si stampa su pellicole (film) flessibili di colori particolari, bianchi, metallizzati, perlati o trasparenti, che vengono poi successivamente saldati per realizzare i prototipi. Oppure materiali adesivi per etichette trasparenti, materiali termoretraibili, cartoni e cartoncini.

Prototipi e mockup di packaging
Prototipi e mockup di packaging

Etichette e stickers

Altra applicazione molto diffusa, soprattutto su materiali trasparenti, metallizzati o traslucenti, sia per produzioni standard come vetrofanie e segnaletica, che per mock-up o proofing di etichette prima di andare in produzione oppure per produzioni limitate.

 

Prototipi di etichette
Etichette

 

Materiali trasparenti

Materiali tipo plexiglass (PMMA) sono largamente utilizzati con il bianco per applicazioni come quadri, targhe, pannelli, perché hanno un impatto visivo notevole, sia in termini di brillantezza che di resa colore.

Di norma la stampa a colori viene fatta sulla parte frontale del materiale, senza tuttavia stampare il bianco, che voi viene stampato in maniera speculare nel retro. Nulla vieta di stampare il bianco sulla parte frontale, se l’applicazione lo richiede oppure di realizzare applicazioni bifacciali.

Retroilluminati

L’incredibile ascesa di questo tipo di applicazioni coinvolge anche le stampe con inchiostro bianco. I retroilluminati (altresì conosciuto come backlit, realizzati sia con film che con materiali rigidi tipo lexan o policarbonati), sono utilizzati in tantissimi ambiti come aeroporti, centri commerciali, cinema, per la loro eccezionale resa grafica.

Molto diffusi sono i cosiddetti Day/Night Display, dove l’immagine è di un tipo durante il giorno (unlit) ma quando è illuminata, alla stessa si aggiungono degli effetti grafici visibili solo grazie alla luce (lit).

Di norma sono  materiali trasparenti su cui si stampa una porzione frontale (frontlight) e una posteriore (backlight) e in mezzo uno strato di bianco, che funge anche da diffusore di luce.

Retroilluminati
Retroilluminati

Per concludere

L’inchiostro bianco offre sicuramente la possibilità di ampliare l’offerta grafica. Abbiamo visto però che è necessario verificare se alla nostra clientela possiamo proporre questo tipo di applicazioni oppure se vogliamo provare con clienti nuovi, che hanno esigenze diverse da risolvere rispetto ai clienti tradizionali.

Un buon book con esempi e dei campioni da lasciare aiuteranno a sollecitare l’interesse dei potenziali clienti.

Lo sforzo sarà ripagato sia da una maggiore marginalità che dalla soddisfazione di aver compiuto un passo verso applicazioni che danno un tono differente alla vostra azienda e la posizionano in maniera più innovativa rispetto ai concorrenti. D’altronde, come detto all’inizio, il bianco è anche sinonimo di cambiamento!

Da ultimo, la consulenza del vostro rivenditore o di un esperto Roland (nel caso siate interessati a una delle soluzioni che abbiamo visto sopra) vi indicherà la tecnologia d’inchiostro più adatta alle vostre esigenze, facendo assieme a voi tutte le prove necessarie per l’uso dell’inchiostro bianco e per un uso giusto e profittevole.

 

Costruire le Buyer Personas nel B2B

Le Buyer Personas. Perchè utilizzarle.

Tempo fa ho scritto un articolo sulle Personas nel B2B, cioè la descrizione più puntuale possibile dei nostri utenti e potenziali utenti. La Persona è la rappresentazione virtuale del nostro potenziale acquirente, descritto nei suoi bisogni, sfide, aspirazioni e ostacoli e come il nostro prodotto o servizio può rispondere a questi aspetti.

Io penso che tale rappresentazione, soprattutto nel B2B, sia il miglior modo per capire le esigenze delle persone e proporre dei contenuti adeguati se il nostro prodotto o servizio può rappresentare una soluzione.

Vediamo come.

Audience e Personas. Quali sono le differenze?

Come scrivevo nel precedente articolo, mentre la nostra classica audience, descrive genericamente un mercato di riferimento, la persona descrive nel dettaglio le esigenze e i sogni di potenziali utenti, nella loro condizione sociale e professionale, creando proprio la descrizione di una persona vera e propria, seppur ovviamente  rappresentativa di un determinato gruppo.

Nell’esempio citato, l’audience dei potenziali clienti dei nostri prodotti è quella dei carrozzieri.

La Personas è invece Mario, un carrozziere di 50 anni, che ha una sua attività in proprio e che investe regolarmente sui macchinari, che ha poco tempo per aggiornarsi ma vuole comunque cogliere le opportunità che una novità può introdurre nel suo business, con un impegno finanziario che può essere anche fonte di una certa preoccupazione per lui e la sua famiglia.

Questo è molto più di un’audience.

A questo punto però vi chiederete come reperire i dati che occorrono per creare le personas.

Dove reperire le informazioni che occorrrono per creare la nostra persona.

Ci sono diversi modi e fonti da utilizzare per creare la nostra persona, il nostro Mario di cui sopra.

Partiamo subito dalla nostra esperienza, in quanto conoscitori del settore. Ciò già sgrossa la personas a grandi linee.

Poi vanno coinvolti i nostri commerciali e i nostri tecnici, fonte preziosa di informazioni dal campo.

Altro suggerimento è quello di creare un campione simile dal vostro CRM, e visitare i loro siti web e vedete come si descrivono, come parlano di se (la pagina Contatti e  quella Chi Siamo spesso è la fonte migliore per capire i nostri potenziali clienti), nonchè quella relativa ai prodotti proposti e come ci si promuove sulle pagine social.

Usate poi Google TrendsADWords e Barometer, i pubblici di Facebook Insights per capire come gira il mondo intorno al vostro potenziale utente.

Cercate anche informazioni sugli andamenti economici di settore (ce ne sono tantissimi), le composizioni delle aziende del mercato a cui vi riferite, i trend del mercato e interviste a opinion leader.

Utilizzate anche Google Search Console, per capire le keyword che sono normalmente usate per arrivare alle pagine del prodotto che intendiamo promuovere.

Ultimo, ma esperienza che consiglio, è quello di parlare con i clienti che hanno già un propdotto simile o potenzialmente potrebbe essere interessato alla nostra nuova soluzione. Magari si sentono tantissime idee impraticabili ma sicuramente vengono fuori due o tre spunti veramente interessanti.

Sono del parere che bisogna sempre usare le personas, qualunque sia l’attività che dovete fare: lancio nuovo prodotto, evento, promozione.

Vedrete voi stessi (e ne sarete stupiti di come il tutto si comporrà con chiarezza) come i messaggi e i toni, così come i contenuti, assumeranno un senso maggiore e veicolaranno informazioni realmente utili per i vostri potenziali clienti.

Costruire le personas nel B2B
Photo by Bethany Legg on Unsplash

Cosa fare con le informazioni che abbiamo raccolto

A cosa servono le informazioni di cui abbiamo parlato sopra? Semplice, a descrivere il nostro potenziale utente nei seguenti aspetti:

CHI È, COSA FA E QUAL È IL SUO RUOLO

Il punto descrive nel dettaglio il nostro utente e qual è la sua posizione all’interno dell’azienda e altri dettagli anagrafici, professionali e familiari.

STRUTTURA DELLA SUA AZIENDA

Com’è la sua azienda, come è strutturata, a chi si appoggia per fare il suo lavoro e altre note relative a una possibile composizione di un’azienda di questo tipo.

COME RICERCA LE INFORMAZIONI

Come s’informa? Legge riviste di settore, vista siti web di settore, frequenta fiere specializzate, parla con i rappresentanti che lo visitano o con i tecnici?

COME COMUNICA CON I SUOI CLIENTI

Il nostro interlocutore possiede siti web, pagine Facebook, Instagram, Pinterest, organizza eventi, open house, fa newsletter oppure conta solo sul passa parola?

QUALI SONO I SUOI VALORI E OBIETTIVI

Qui descriviamo quali sono i possibili traguardi personali e aziendali, quali sono i suoi valori di base che lo guidano e la sua direzione di sviluppo professionale.

QUALI SONO I SUOI BISOGNI E PROBLEMI

In questo punto, descriviamo quali sono i suoi problemi, espliciti o latenti (i più difficili ma spesso quelli più importanti) e i suoi bisogni che vorrebbe colmare.

QUALI POSSONO ESSERE LE OBIEZIONI AL NOSTRO PRODOTTO

Qui elenchiamo le obiezioni, le possibili critiche o i commenti al nostro prodotto che la persona potrebbe fare, considerando anche che la concorrenza potrebbe offrire prodotti o servizi similari ai nostri.

COSA IL NOSTRO PRODOTTO RISOLVE

Qui bisogna descrivere cosa il nostro prodotto risolve al nostro potenziale cliente, migliorandogli la vita sia  professionale che personale.

Perché creare le Personas

A questo punto la domanda sorge spontanea. Perché dovremmo interessarci e strutturare informazioni che i nostri venditori hanno già o probabilmente sono patrimonio comune nella nostra azienda?

Semplicemente perché oggi la maggior parte delle ricerche per l’acquisto è fatta su internet, soprattutto per il B2B.

Come scrivevo nel precedente articolo, per un acquisto importante e prima di incontrare un venditore della nostra azienda, un professionista oculato avrà già girato la rete, raccolto informazioni, prezzi, pareri, pro e contro del nostro prodotto e di quelli della concorrenza, e avrà già una certa idea di come procedere.

Tutto questo verrà filtrato con le sue ambizioni, paure e bisogni che abbiamo descritto sopra.

Il nostro messaggio e quello dei competitor arrivano “drogati” da ciò che in quel momento la persona sta vivendo, sognando, soffrendo o desiderando.

Ecco perchè far tesoro di queste informazioni frammentate tra persone e database e capitalizzarle in qualcosa di più utile è un passaggio fondamentale.

In uno dei miei post citavo l’importanza di essere on-line come azienda per questo motivo. È interessante anche capire come dovremmo esserci e cosa comunicare.  Qui la descrizione della Personas ci viene in aiuto.

Ecco il profilo della persona!

Capito il come e il perchè, Stabiliti questi punti, ci ritroveremo non più con una audience generica ma con un preciso identikit di una persona che può essere interessata al nostro prodotto e a cui noi possiamo veramente portare delle soluzioni..

Questo ci permetterà di costruire un piano di comunicazione adeguato per tutte le fasi del customer journey  in un modo che sia interessante per il nostro potenziale utente.

Dopo le Personas

L’esercizio della creazione di personas ci avvicina in maniera più vera alla nostra potenziale clientela, facendoci interessare seriamente alla vita reale delle persone, al di là del fatto di vendere qualcosa, almeno nell’immediato.

Le persone si rivolgeranno a noi se il nostro prodotto o servizio è effettivamente utile per lui. Per questo il piano di comunicazione costruito sulle Personas è importantissimo. Un esercizio utile, che ci fa crescere come imprenditori e come uomini.

La creazione delle Personas ci aiuta nel costruire un rapporto dove il nostro marchio si trasforma in un partner, che deve vendere, ma sa anche consigliare, indirizzare e ogni tanto tacere per ascoltare la persona che c’è dall’altra parte.

Visitare una fiera. Come l’artigiano tecnologico può trarne il meglio

La fiera e l’artigiano tecnologico

All’artigiano tecnologico, visitare una fiera del nostro settore conviene sempre.

Internet non sostituisce la fiera, semmai aiuta ad andare a una manifestazione con maggior consapevolezza.

Il rapporto umano è fondamentale. Conoscere chi è dall’altra parte e che può diventare un possibile partner è la prima cosa per il successo del rapporto commerciale di entrambi.

Per un artigiano tecnologico, la fiera di settore deve rappresentare in tutto e per tutto un momento di crescita e di investimento su se stessi e sulla propria azienda.

Come l’acquisto di un bene, la visita va pianificata in termini di obiettivi, spesa e rendimenti. Vediamo come.

Quali fiere visitare

L’artigiano tecnologico deve prima di tutto visitare quelle di settore.

Nel campo in cui opero, quello della stampa digitale e della comunicazione visiva, a livello nazionale sia il Promotion Trade che il Viscom Italia rappresentano due manifestazioni da cui non prescindere.

Nelle arti grafiche vi sono storiche manifestazioni come Print4All che racchiude fiere storiche come Grafitalia, Converflex e Inprinting, oppure specializzate in stampa industriale come InPrint.

Se ve ne sono di locali, andrebbe anche qui considerata la visita (penso a Expo della Pubblicità a Catania o gli appuntamenti del Viscom Regional).

Poi vi sono quelle internazionali che meritano la visita solo per il respiro che offrono alla nostra professione e vedere di persona tutto il mondo che si muove dietro la comunicazione visiva.

FESPA, DRUPA, PSI sono fiere di fascino che regalano sempre una prospettiva diversa.

Qui le aziende si pongono in maniere più “brand” e i messaggi delle case madri arrivano diretti senza mediazioni locali. Un modo per conoscere le aziende in maniera più approfondita.

Quando partecipo con Roland, mi fa sempre molto piacere incontrare e far incontrare gli amici che arrivano dall’Italia e far valutare loro l’approccio di altri colleghi a questo mercato.

Organizzare la visita

Credo sia il momento più importante, da fare con calma prima della partecipazione.

Arrivare in fiera e decidere sul momento è uno dei modi per buttar via tempo prezioso perdendosi poi dietro cose che non sono prioritarie per il nostro lavoro.

Io vi consiglio di dividere la visita in tre momenti:

  1. Visitare i produttori e i distributori con cui avete rapporti in essere
  2. Visitare nuovi potenziali partner che hanno qualcosa di interessante per incrementare o migliorare la nostra attività
  3. Lasciarsi del tempo libero per girare senza meta e cogliere ciò che la realtà del momento ci propone, un po’ come quando in libreria ci facciamo ispirare dalla copertina.

Usate App e piantine che le fiere mettono a disposizione per organizzare il percorso nella maniera a più facile possibile (la capacità che una visita in fiera ha di mettervi ko dopo un paio d’ore è unica!).

Visita a produttori e distributori che conosciamo

Conoscendo la naturale confusione che si crea in fiera, fatevi una lista delle aziende da visitare, considerando che dovete dedicare a loro almeno 30 minuti (se non dovete aprire nuove trattative, sennò considerate almeno un’ora).

Mandate una mail al vostro referente e ditegli che lo visiterete in fiera. Se avete argomenti da discutere e approfondire, diteglielo prima.

Spesso mi sono trovato con persone che avevano richieste di stampe particolari oppure volevano discutere una problematica e per un espositore, farlo “on-the-fly “è quasi impossibile in una fiera.

Se ci si mette d’accordo prima, si può fissare un appuntamento e il fornitore può farvi trovare le persone adattate per discute l’argomento.

Visitare potenziali fornitori

Anche qui lista, richiesta di appuntamento (magari al rappresentante locale che sarà presente in stand) ove possibile e almeno un’ora per ciascuno e richiesta di altro appuntamento presso vostra sede.

Visitare senza meta

Anche se all’artigiano tecnologico questa può sembrare una perdita di tempo, rappresenta invece uno dei momenti più interessanti per trovare nuovi spunti o unire i famosi puntini di cose che avevate in mente. Io direi almeno un 3 ore devono essere devolute a questo esercizio che vi assicuro darà i suoi frutti.

Da espositore, io lo faccio sempre. Guardo cosa fanno gli altri, i concorrenti oppure fornitori di periferiche complementari o servizi. Si conoscono cose nuove, si stringono relazioni e chissà cosa ne può nascere.

D’altronde, siete in fiere per costruire relazioni giusto?

Chi vi sta davanti fa la differenza (insieme a voi)

Facendo fiere da quasi trent’anni, vi dico che spesso la stanchezza sia da parte dell’espositore (che arriva alcuni giorni prima per l’installazione e rientra a casa dopo la fine effettiva della manifestazione per smontare lo stand) che del visitatore possono giocare brutti scherzi per le cosiddette “prime impressioni”, soprattutto quando incontrate un nuovo partner.

Quando visitate uno stand, ricordatevi che dall’altra parte c’è qualcuno che ha già accumulato tanta stanchezza ma ha come suo obiettivo quello di farvi sentire ascoltati e accolti.

Lui farà del suo meglio per capire le vostre esigenze e voi fate del vostro meglio per essere chiari nella richiesta e magari disponibili a un successivo incontro, se capite che quello non è proprio il momento adatto.  Qui la pianificazione di cui parlavamo prima aiuta tantissimo.

Photo by rawpixel on Unsplash
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Assicurarsi di non stancarsi troppo

La fiera stanca. Munitevi di acqua e barrette energetiche per rifocillarvi e conservare la lucidità. Fermatevi per cinque minuti e non fate tutto di corsa. Meglio una visita in meno che rovinare il vostro piano d’azione e buttare via i vostri soldi.

Mangiate al ristorante sempre prima dell’onda (magari verso le 11,30/12), quando i commessi non sono ancora stanchi e non si deve lottare per un piatto di pasta o per un tavolino.

Ricordate che il successo della visita dipende in molta parte da voi e da come vi organizzate.

Fiere non di settore

Un’ultima nota la vorrei spendere per quelle fiere che non sono di settore ma che possono prospettare un buon business all’artigiano tecnologico.

Se seguite le newsletter di settore o i portali, noterete che di tanto in tanto ci sono dei trend che diventano interessanti per chi fa grafica. Qui è il caso di cominciare a valutare una visita alle relative manifestazioni.

Per esempio, l’interior decoration sta oggi finalmente diventando un trend stabile. Quindi, una visita a una fiera di questo tipo è raccomandata, per esplorare e capire che opportunità ci sono.

Per chiudere

La fiera è la benzina per la vostra attività futura. E’ luogo di relazione, di crescita e di scoperta.

Oggi spostarsi costa, ma non per questo bisogna derogare a visitare le manifestazioni di settore.

Le fiere si sono o si stanno riorganizzando e offrono tanti momenti accessori alla vista che vanno usati e inserirli nel programma di visita. Penso a seminari, mostre, conferenze, presentazioni.

Nel quotidiano lavoro, raramente si riesce ad uscire fuori dalla routine. Sfruttate quindi questi momenti.

Ultimo, nelle fiere ci sono tutte le riviste. Occasione ghiotta per conoscere chi scrive le rubriche, per fare il pieno e dedicarsi alla lettura, una volta a casa.

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Come scegliere un CRM per l’azienda

La volta scorsa, parlando di fiere, abbiamo anche accennato brevemente un sistema CRM.

Per non dare nulla di scontato, diciamo che un CRM è un sistema che ci permette di gestire il nostro portafoglio clienti e quello dei potenziali clienti, interessati alle nostre soluzioni. L’acronimo CRM sta per Custom Relationship Management ovvero gestione delle relazioni con i clienti.

Sono sicuro che sfogliando tra i vari libri di marketing, web marketing e gestione dei clienti, avrete sicuramente incontrato questo termine. È uno strumento importante. Anzi, direi basilare.

Perché un CRM è importante

Un buon CRM permette di gestire e conoscere le dinamiche dei nostri clienti o potenziali clienti, come si comportano, cosa chiedono, a cosa sono interessati, quanti prodotti hanno, con che frequenza riacquistano e altro ancora.

Non solo. Potete capire come un potenziale cliente si trasforma in un cliente. Ad esempio, quanti contenuti scarica, quante e-mail apre, quante fiere visita prima di riuscire a stabilire un contatto per lui accettabile con la nostra azienda.

Se questo vi dà l’impressione di un sistema tipo grande fratello, beh, non lo è.

Anzi un buon sistema CRM permette veramente di essere, come si dice in gergo, al servizio dei nostri clienti, e trasformarsi in quella benedetta parola che oggi tutti diciamo, cioè in partner.

Un partner in effetti è una persona che ti conosce, che ti dà le cose che ti aspetti, cui tu dai giustamente fiducia, che ti capisce, che è anche capace di anticipare le tue esigenze.

Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza. Daniel J. Boorstin

Scegliere un CRM

Bene, dopo questa introduzione simil-filosofica vediamo come procedere per la valutazione di un buon sistema CRM. E quando dico buon sistema, mi riferisco al fatto che sia adatto alla nostra dimensione aziendale.

Ci sono CRM bellissimi e completi, ma che magari sono troppo la nostra attività, oppure alcuni che sono facili da usare ma sono limitativi per le potenzialità della nostra azienda. Perciò è conveniente fare una scelta oculata e prendersi il giusto tempo.

In queste poche righe non vi dirò il CRM che dovete scegliere per la vostra azienda ma solo tre punti (senza pretesa di esaustività) da tenere in considerazione quando penserete di scegliere il vostro sistema.

Punto 1 – Fate una lista delle vostre necessità

Se non avete mai avuto un sistema CRM o magari avete gestito il vostro database all’interno di un file Excel, il primo consiglio che mi sento di darvi e di stilare le necessità che voi vi aspettate dal CRM.

Ecco alcuni spunti da utilizzare per la vostra valutazione.

  • La prima è la facilità di registrare i nominativi interessati al vostro marchio e classificarli in base al loro interesse.
  • La seconda è di poterli qualificare facilmente e correttamente, cioè di mettere dentro la scheda del nostro cliente tutti dati che sono importanti per poi gestire il rapporto con lui.
  • La terza è di poter gestire e chiudere in maniera positiva o negativa una trattativa e capire il perché se essa è andata a buon fine oppure no.
  • Se siete strutturati anche con un reparto marketing con un reparto vendite vi consiglio di dividere virtualmente il CRM in due parti. La parte di acquisizione, che sarà gestita dal marketing. La parte di gestione del cliente e della vendita che invece sarà gestita dalla parte commerciale.

Punto 2 – Investire tempo nella scelta del CRM. Conviene

La scelta del CRM richiede tempo da investire personalmente nella comprensione e nell’analisi dello strumento. Tutto tempo che vi ritroverete straguadagnato strada facendo. Garantito.

La cosa più saggia da fare è scaricarsi dal web alcuni CRM disponibili o prenderne visione e metterci le mani in qualche modo. Alcuni di loro sono gratuiti, altri hanno delle versioni demo, altri invece v’inviteranno avere una demo presso la sede dell’azienda che lo produce oppure che lo assiste.

Chiedete refernze ai fornitori, parlate o visitate chi già lo usa.

Fate tutti gli esperimenti che ritenete opportuni ricordandovi questi punti funzionali fondamentali.

  • Primo controllate come possono essere inseriti i potenziali clienti all’interno del CRM. Questo significa, ad esempio, che il CRM deve darmi la possibilità di inserire in automatico i clienti o potenziali clienti che compileranno le vostre richieste sul web o dalla vostra mailing-list.
  • Controllate se è facile per un operatore telefonico o fieristico inserire i primi dati.
  • Controllate se i dati che ritenete opportuno inserire siano possibilmente poi variabili da parte vostra (in gergo si chiamano campi), secondo il lavoro che fate, al mercato a cui vi rivolgete (mi riferisco al fatto che quando inizierete, riterrete opportuno inserire certi campi. Poi alla lunga, vi accorgerete che dovete cambiarli o adeguarli).
  • Verificate se è possibile inserire dei database che magari intendete acquistare per fare poi delle azione di marketing specifiche per quel target di clienti o potenziali clienti.
  • Controllate come sono organizzate le schede clienti. Una volta che avete inserito i dati del vostro cliente, sicuramente il sistema CRM vi chiederà di qualificarlo in qualche modo. Questo significa che dovrete mettere tutti dati che magari, in un primo tempo, non è stato possibile avere. È una fase molto importante perché la qualifica, se fatta bene, sarà il vostro patrimonio aziendale. Un cliente ben qualificato è un cliente che può essere servito al meglio. Nella parte di qualifica, cercate di capire se il sistema vi permette di aggiungere altri campi che inizialmente non avevate considerato ma che possono risultare buoni per successive analisi.
  • Valutate come il CRM vi permette di gestire trattative. Questo significa che deve dare la possibilità di capire a che punto è una trattativa, se essa è stata persa oppure vinta. Le cose interessanti vengono, per esempio, dall’individuare perché la trattativa è stata persa per poi tarare meglio le proprie iniziative e ridurre il numero di opportunità che non si sono concluse in maniera positiva.
  • Verificate anche se il CRM vi da la possibilità di avere dei report ho delle visualizzazioni che in un sol colpo ti permettono di identificare qual è la situazione del vostro business in quel momento.
  • Per ultimo, controllate se vi permette di gestire delle azioni automatiche (ad esempio invio mail) o dei remind.

Scegliere un CRM

Punto 3 – Fate team

Il CRM distrugge lo status quo. Sicuramente vi troverete a fronteggiare resistenze da parte dell’azienda perché un nuovo strumento richiede sempre tempo e sforzi per essere capito e usato.

È indicato coinvolgere nelle fasi più importanti sia il team di marketing sia il team di vendita. Essi saranno quelli che dovranno utilizzare CRM in maniera importante e attiva.

Avere loro a bordo sin dall’inizio significa che il CRM sarà tagliato su misura e non vedranno la cosa come qualcosa che cade dall’alto.

Non solo, qualsiasi sacrificio extra sarà capito e compreso, perché essendo le persone coinvolte ne apprezzeranno il senso e il valore.

Per chiudere. Trovate una buona agenzia che vi supporti
Il mio consiglio è di farvi affiancare da un’agenzia di consulenza che vi supporti, nella fase di briefing, nella fase di sviluppo del progetto, nella fase di installazione e verifica che il progetto sviluppato sia quello sia ci si aspetta.

In più, che durante lo sviluppo e l’installazione coinvolga i vari team e faccia capire l’importanza dello strumento, parlando un linguaggio chiaro e comprensibile e facendo in modo che capisca le vostre necessità e dinamiche (costringete il consulente a girare con i vostri commerciali o a coinvolgersi nell’elaborazione di una campagna di marketing o una fiera!).

Dopo la prima fase di partenza e di rodaggio, sicuramente emergeranno altri aspetti che sarà utile correggere o adattare. E anche qui l’agenzia dovrà supportarvi. Prevedete quindi un’estensione del supporto sin da subito.

In più, ogni tanto sarà conveniente fare un check-up del sistema per vedere se sta funzionando bene e se l’azienda sta sfruttando al massimo. Tutti sforzi che comunque, saranno ampiamente ripagati.

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UGC. I contenuti generati dai nostri utenti

I contenuti generati da chi utilizza i nostri prodotti, chiamati anche UGC (User Generated Content) sono una delle cose più belle che un’azienda possa desiderare.

Richiede fatica e tempo, almeno all’inizio, ma i risultati sono entusiasmanti, così come le opportunità che si generano.

Nell’articolo alcuni consigli su come poter creare una collaborazione con i nostri utenti.

Le sfide

Per una piccola o media azienda (e in molti casi anche per aziende più strutturate), la prima sfida che si presenta per avere tali contenuti e quella di trovare utenti o generare iniziative che portino la creazione di contenuti.

La seconda sfida è quella di avere contenuti di qualità e significativi, magari in linea con quelloche è il nostro tono o il nostro modo di essere nel web e nella nostra comunicazione.

La terza sfida è quelle di avere un regolare flusso di contenuti dagli utenti, che assicuri una regolarità nella pubblicazione e ci permetta di gestire il calendario in maniera agevole.

Alla base di tutto

La metterei tra le sfide ma è anche parte della soluzione. Mi riferisco al fatto che per avere contenuti validi dai nostri utenti la base è avere una relzione con loro. E mi riferisco a una relazione vera, fatta di “carne e sangue”.

Un relazione che deriva da incontri regolari, ascolti, condivisione di successi e di sconfitte, discussioni e celebrazioni.

Vale anche per noi. Se ci chiedono di dare, lo facciamo per qualcuno che ne vale la pena. Qualcuno che si interessa a noi.

Alone we can do so little; together we can do so much
― Helen Keller

Perchè il contenuto generato dai nostri utenti è valido

A chi date retta? A chi riconoscete un’autorità in materia; almeno io la vedo così.

Spesso chi usa i nostri prodotti ne diventa il miglior conoscitore. Questa esperienza può (e deve secondo me) essere condivisa con chi si avvicina alla nostra azienda ed è interessato a quello che offriamo.

La condivisione delle esperienze da parte dei nostri utenti, basata su un vero rapporto, dischiude consigli prezioni, nuovi punti di vista a cui non avevamo pensato, modi di utilizzare il prodotto diversi, consigli, trucchi e tecniche. Il tutto, senza interessi nascosti del vendere a tutti i costi un prodotto. Ne parlo al termine di questo articolo qui.

Questi sono i contenuti di spessore che fanno la differenza e porta lal nostra comunicazione su un nuovo livello.

Come fare allora?

Partire piano. Avrete già degli utenti che usano i vostri prodotti o servizi (la vostra forza commerciale, il centro di assistenza o magari il vostro social media manager o community manager sono fonti primarie per identificare gli utenti più proattivi).

Sicuramente hanno una particolare caratteristica nel loro lavoro e di cui il vostro prodotto è parte del successo professionale che hanno.

Identificate la peculiarità e capite se può essere interessante per un potenziale cliente.

Fatto questo, parlate con loro e spiegategli la possibilità di scrivere per voi e generare dei contenuti per i vostri canali.

Incontratevi e spiegate i vantaggi per voi e per lui e siate molto chiari anche sull’impegno che tale richiesta genera (scrivere o rivedere contenuti porta via tempo).

Date anche un’identità a questi collaboratori particolari, se possibile e se il rapporto lo permette. Un qualcosa che nei loro canali di comunicazione possa attestare la loro professionalità nella peculiarità che avete identificato.

Poi concordate il numero e il tipo di contenuti da creare.

Fatelo all’inizio con almeno un paio di utenti. Affinate il tutto e aggiungetene poi altri in modo da creare un gruppo coeso ed entusiasta.

UGC User Generated Content. I contenuti generati dagli utenti

I contenuti degli utenti all’interno della vostra comunicazione

Dovrete essere chiari su alcuni punti, per evitare problemi successivi o fraintendimenti che possono rovinare il rapporto.

Uno. La revisione finale tocca a voi. Grammatica, senso delle frasi, giudizio sul valore del contenuto, inserimento del contenuto all’interno del vostro modo di comunicare. Questo va chiarito dall’inizio per evitare di avere contenuti che non rispecchino nè la professionalità del vostro utente nè la vostra.

Due. Il contenuto deve portare valore a chi legge, sempre includendo il vostro prodotto e la professionalità di chi crea il contenuti. Niente pubblicità nascosta o frasi come slogan.

Tre. La parte del compenso. Personalmente credo che la visibilità sui vostri canali rappresenti un bel vantaggio competitivo per gli utenti che ci aiuteranno nella creazione dei contenuti. Infatti l’evidenziare le loro peculiarità li portaa un livello diverso rispetto ai loro concorrenti.

Quello che potete fare inoltre è dare a chi collabora con voi delle preview sui nuovi prodotti, inviti a fiere, anticipazioni, offerte particolari quando possibile.

Ovviamente, giudicate se sono necessarie altre opzioni, che dipendono da chi è il vostro utente e da che tipo di impegno chiedete.

Per chiudere

Una buona relazione e la chiarezza degli intenti sono la base di partenza degli UGC.

Richiede tempo e pazienza. Seguire utenti esterni richiede una certa pianificazione e del tempo di qualità da dedicarvi. In più, una certa flessibiltà nel gestire i rapporti e le consegne dei contenuti.

I risultati di tale impegno per la vostra azienda e per loro saranno molto buoni e tutti potranno vedere il vostro prodotto sotto una luce a cui magari prima non avevamo pensato.

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Fiera. Tre punti per farla diventare un successo

 

Esiste tanta letteratura su come gestire un evento o una fiera. Ci sono consigli ben argomentati e descritti in maniera esemplare e disponibili sul web o in libreria. Questi tre punti che vi riporto sotto fanno parte dell’esperienza quotidiana e che possono fare la differenza nel successo di una fiera.

Diventa tu il potenziale visitatore di una fiera

Che cosa succede quando vi recate in una manifestazione o in una fiera? Dopo aver lasciato la vostra azienda e dei lavori in sospeso, affrontato un viaggio più o meno lungo e la fila all’ingresso.

Dovete poi anche trovare il modo di parlare con la persona che v’interessa per farvi spiegare un determinato modello o servizio visto su internet o consigliato da un amico/collega.

Il tutto potenzialmente infarcito da corridoi pieni, bar con lunghe file e cibo che spesso non è il massimo della vita da consumare stando in piedi.

Se si ragiona in questa maniera, la prospettiva di come porsi verso un visitatore cambia. E’ importante quindi la parte di accoglienza.
Semplice, informale, veloce e soprattutto cortese.

Sembrerà retorica ma quando si organizza una fiera spesso ci si stanca, ci si stressa, si segue l’installazione e tutti i problemi logistici e magari si arriva al debutto con un cumulo di affaticamento che può essere letale.

La soluzione è, per dirla all’inglese, Keep It Simple. Non strafare. Centellinare le risorse e curare l’accoglienza, insieme agli altri punti che vedremo sotto.

Comodità in fiera. Sempre

Ok, il visitatore è nel nostro stand. Secondo quello che proponiamo, adotteremo tecniche opportune per riceverlo e per farlo sentire un pochino a casa.

Uno spazio colloqui è sempre un’ottima scelta, se l’area lo permette. Oppure accompagnare il visitatore, presentarlo all’esperto o all’incaricato se occorre, dare il materiale a supporto e illustrarlo, registrare il suo contatto e le sue richieste, organizzare un follow-up.

Chiudere il cerchio e far raggiungere al visitatore il suo scopo.

Accoglienza in fiera
Il sorriso e la disponibilità. Due cose da non lesinare mai in fiera.

Un’impressione indelebile

Tra le decine di stand che si visitano in fiera, spesso si esce carichi di depliant, gadget e buste e si torna a casa con la promessa di mettere tutto a posto con calma.

Ma, rientrati nel quotidiano, è difficile che il visitatore faccia ciò e i cataloghi e le spiegazioni che abbiamo dato magari rimangono in un angolo per mesi, fino a non avere poi alcun valore.
Se avete fatto bene il punto uno e due, il visitatore ha già un ottimo ricordo della visita. La cosa da fare allora è investire in un’azione di richiamo, telefonico o via mail, per ribadire la nostra disponibilità alle esigenze manifestate in fiera.

Per fare in modo che questo servizio sia utile per il visitatore, è bene che noi operiamo la registrazione in maniera accurata e completa, per garantirci un database che effettivamente sia lavorabile e identifichi le esigenze di chi ha speso il suo tempo venendoci a trovare.

Un buon sistema di CRM e un richiamo telefonico sono soldi ben investiti per la soddisfazione del nostro visitatore e delle attività della nostra azienda e dovrebbero rientrare, almeno in parte e sicuramente per il recall, nel nostro budget per l’evento.

Una semplice telefonata solo per ringraziare della visita fa la differenza tra noi e gli altri. E riflette concretamente quel contatto umano che spesso manca per motivi di tempo e impegni.

 

5 momenti di una campagna di marketing

Nuovo prodotto? Promozione? Evento? Nulla che non debba essere supportato da una campagna di marketing efficace.

Una bella campagna di marketing accende i motori della promozione, le da vita, spazio, personalità e sostanza.

Per me, creare una campagna di marketing a supporto della vendita, piccola o grande che sia, è sempre un’esperienza entusiasmante e sfidante allo stesso tempo, e la ragione è abbastanza naturale.

Ogni campagna abbraccia aspetti commerciali, di brand, di conoscenza delle persone a cui ci rivolgiamo, di contenuto, di budget a disposizione, di mappatura dei canali di comunicazione che verranno utilizzati sia offline che online e, in ultimo, quello di un sistema di metriche facilmente comprensibile e attuabile che permetta di capire se la campagna sta funzionando o meno.

Quindi tante cose nello stesso tempo, con differenti livelli di importanza magari, ma che compongono il mix magico che assicura che la campagna riesca e porti i frutti sperati.

Ho pensato che un piccolo riassunto basato sull’esperienza personale possa aiutare. Non ha pretese di completezza, ma credo tocchi molti dei punti importanti dello sviluppo di una campagna che possano ritornare utili all’occorrenza.

Obiettivi della campagna e allineamento vendita e marketing

Prima di pensare alla comunicazione della campagna, conviene rivedere gli obiettivi principali. Sicuramente avremo già un brief o le indicazioni commerciali ma se non siamo stati coinvolti nella stesura allora sedersi di nuovo con la parte commerciale è fondamentale.

Quante volte ho dato questo passaggio per scontato per poi accorgermi di aver bisogno poi di maggiori dettagli, una cura diversa del messaggio e una convergenza sul modo di condurre una campagna e gli obiettivi.

Soprattutto per le campagne di vendita e di promozione di prodotti o servizi, questo è il momento di prendersi del tempo con la parte vendita per confermare gli obiettivi attesi e il modo in cui si pensa di ottenerli.

Sedersi insieme alla parte commerciale

Di solito la parte commerciale fornisce un obiettivo da raggiungere, senza scendere particolarmente nei dettagli. Giustamente direi. La parte commerciale fa un altro mestiere ma è il marketing che da vita alla campagna.

Quindi, ritagliatevi un’oretta e insieme alla parte commerciale chiedetevi:

A chi è rivolta la campagna nel dettaglio?

  • Quali sono i meccanismi giusti perché la campagna funzioni?
  • Quali risultati ci si aspettano e in che tempi?
  • Ogni quanto controlleremo che tutto stia andando come previsto?
  • Se considerare un piano B da usare nel caso i risultati non siano quelli attesi (preservando anche delle risorse per sostenere il piano B)?

Questo permette di sviluppare i vari aspetti della campagna in maniera completa e condivisa. Soprattutto di avere un allineamento tra i team coinvolti sia sul “linguaggio” e i modi usati verso i destinatari della campagna e sugli obiettivi previsti.

Audience e persona

Con le informazioni più dettagliate alla mano, possiamo metterci al lavoro in maniera più consapevole per realizzare la nostra campagna di marketing.

Per far fruttare meglio il contenuto a supporto della campagna e renderlo di valore per le persone, si lavora sul profilo di una buyer persona e sul perché dovrebbe comprare il nostro prodotto.

Questo è il momento di pensare in maniera più approfondita alla nostra audience, al profilo delle persone potenzialmente interessate al nostro prodotto.

Come visto nei precedenti articoli, la persona è una rappresentazione ideale del potenziale cliente in termini di necessità, aspirazioni, ostacoli, struttura dell’azienda ecc.

In questa fase, è utile considerare anche il perché e per cosa il nostro prodotto o servizio è interessante per il potenziale cliente, come potrebbe migliorarli la vita e perché non dovrebbe rivolgersi a un prodotto concorrente o usare un servizio che faccia quello che il nostro prodotto o servizio già fa.

Se il nostro prodotto non risolve un’esigenza specifica e non migliora la vita professionale (e personale) del nostro possibile cliente, è meglio non proporsi.

Il pubblico della campagna di marketing è la nostra audience

Un esempio

Esempio pratico (e volutamente semplice). Se il mercato a cui ci rivolgiamo è quello dei pittori edili, questo sarà la nostra audience.

La nostra persona invece potrà essere Marco, 35 anni, con un operaio cha lavora con lui, specializzato in ristrutturazioni, che frequenta corsi di aggiornamento ecc.

Dovremo anche capire perché Marco ha bisogno del nostro prodotto e che cosa gli risolve in termini di miglioramento del suo modo di lavorare.

Ci chiederemo anche come Marco, quando arriva al banco del suo fornitore abituale, possa riconoscere il nostro prodotto o esserne già consapevole e sceglierlo.

In genere, le informazioni per costruire la persona e approfondire le necessità le trovate intervistando i vostri clienti attuali, visitando i loro siti (le pagine Chi Siamo sono sempre una miniera di informazioni utili) e i profili sui vari social.

Altra fonte fondamentale è la parte commerciale, soprattutto chi è sul campo e ha contatti quotidiani con i potenziali clienti.

Se volete essere ancora più precisi, potete chiedere anche alla parte di supporto tecnico quali sono le domande tipiche che questa tipologia di clienti fa e trasformala in contenuti che supportano la campagna.

Il messaggio della campagna di marketing e i suoi contenuti

Inquadrata la persona e le sue esigenze specifiche, possiamo calibrare il messaggio e i contenuti in modo che le nostre soluzioni siano valide e attinenti con la realtà delle persone. Messaggio e canali saranno utilizzati di conseguenza nella nostra campagna di marketing.

Riguardo il messaggio, quello che s’intende qui è la headline principale, il testo accompagnatorio e i vari contenuti testuali (blog, post, tweet) e visivi (immagini, bacheche, video per social e YouTube) necessari a comunicare sui canali che sceglieremo.

Mantenere una certa flessibilità dei contenuti e del messaggio principale importante, in modo che il tutto possa essere usato sia in una pagina pubblicitaria che in una campagna Facebook e non sia vincolato a una specifica piattaforma o formato.

Nel valutare l’impatto della campagna, infatti, conviene lavorare con il messaggio e i contenuti già inseriti all’interno come mockup delle piattaforme che useremo, invece che con la classica pagina A4. Questo ci eviterà di adattare continuamente i nostri contenti e messaggi quando decideremo di distribuire la campagna su altri canali.

Non dimentichiamoci, se è il caso, di preparare un kit di comunicazione da far utilizzare ai nostri rivenditori o agenti sul territorio, sia sulle loro piattaforme web che da usare durante gli incontri.

Suonare la campagna di marketing

Distribuzione della campagna di marketing e canali di comunicazione

Come distribuiamo I contenuti della campagna?

Avendo definito la persona, dovremmo già avere un’idea di massima dei mezzi che utilizza per informarsi. Quelli saranno i nostri canali principali.

In più, dovremmo considerare anche la funzione di ogni singolo canale per arrivare alla nostra persona.

Se la campagna è un’offerta di prodotto, vorremmo probabilmente concentrarci sulla parte finale del customer journey, cioè su quelle persone che già ci conoscono e che sarebbero più propensi all’acquisto.

I nostri canali allora potrebbero essere una mail personalizzata, AdWords, una campagna di Facebook targettizzata ad una specifica audience, il tutto con atterraggio su una specifica landing page con una richiesta di azione specifica. Oppure pubblicità su riviste di settore o micro eventi presso la nostra forza vendita o la rete dei rivenditori.

Ancora Marco

Questo passaggio aiuta a capire dove investire. Marco, il nostro amico pittore, legge riviste di settore e usa Facebook per essere in contatto con gli amici. In più, legge le newsletter di settore quando possibile e vista fiere. Ecco qui che già possiamo delineare un piano d’azione sui canali che sono più vicini a Marco.

Come passo successivo, potremmo anche scegliere di estendere il nostro potenziale bacino a chi non ha bisogno immediatamente della nostra soluzione oppure ci conosce poco.

In questo caso, useremo il nostro blog con articoli ad hoc, video esplicativi, infografiche.

Tornado al nostro esempio, i vantaggi del nostro prodotto per Marco potrebbero essere interessanti per ingegneri e architetti, che fungerebbero da influencer per Marco o per i rivenditori del materiale che intendiamo proporre.

Questi contenuti aiuteranno le persone a discernere se la nostra proposta è realmente valida per le loro esigenze e le aiuteranno nel viaggio sino all’acquisto, avendo tutte le informazioni necessarie per dialogare con la nostra rete vendita.

Conviene ricordare, ed è una dalle ragioni per cui vendita e marketing dovrebbero essere allineati il più possibile, che le persone fanno ricerche nella rete per conto loro e spesso sanno più dettagli su prodotto o sul servizio della rete vendita, o almeno i dettagli che per loro sono più importanti.

Per questo la descrizione della persona è importante così come è importante che gli aspetti della campagna e i contenuti siano condivisi in azienda. Specificatamente per due motivi; il primo è quello che essi, i contenuti, usciranno fuori durante la fase di ricerca del potenziale cliente. Il secondo è che il messaggio e i valori della nostra campagna siano i medesimi lungo tutta la nostra catena distributiva.

Non c’è cosa più fastidiosa per una persona avere delle aspettative su un prodotto in base alla value proposition fatta dall’azienda e trovarsi un approccio differente quando entro in contatto con il nostro distributore o rivenditore.

Durante lo svolgimento della campagna di marketing

Mettere un inizio e una fine alla campagna con vari punti di controllo temporali aiuta a capire come sta andando e come finirà se si persegue nella direzione scelta.

In linea generale, pochi messaggi ma utili, cercando di avere un feedback ove possibile.

In questo caso, avere in mente un piccolo customer journey aiuta a immaginare un percorso in cui la persona potenzialmente interessata al nostro prodotto può muoversi. Nulla di particolarmente complicato ma aiuta a schematizzare meglio il modo con cui entriamo in contatto.

Nel customer journey inseriremo anche i punti (KPI) che misureremo per valutare se la campagna sta avendo successo o meno.

Esiste una letteratura infinita su quello che dovremmo controllare. Io credo che la soluzione migliore sia di nuovo “less is more”. Pochi punti di controllo ma buoni, e tutti relativi all’influenza che hanno sul risultato atteso.

Per essere concreti, per una campagna mirata alla vendita, il consiglio è monitorare principalmente solo i contatti e le opportunità generate. Soprattutto, segmentare questi risultati per capire chi ci sta contattando e da dove arriva.

Se qualcosa non va, un percorso a ritroso sul customer journey e sulle caratteristiche della persona aiuteranno a tarare la campagna in maniera più efficace.

Vittorio Neri

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Provare e riprovare la campagna di marketing osservando i KPI e i risultati

Scegliere i partner per la nostra azienda

Quando l’azienda cresce, si butta in nuovi mercati o vuole migliorare le attuali performance, giunge il momento di cominciare a valutare il coinvolgimento di professionisti esterni specializzati che possono aiutare la nostra azienda nell’ottenere nuovi obiettivi.

Professionisti che usualmente sono agenzie o freelance come agenzie creative, di comunicazione, agenzie web, di traduzioni, di PR, di formazione oppure per eventi fieristici.

Preferisco però chiamarli partner, perché solo se coinvolti interamente nelle nostre dinamiche aziendali, possono dare il meglio di se.

Cercare il partner giusto per la nostra azienda

La ricerca

Ho lavorato con dei partner fantastici che ho trovato principalmente in tre modi. Tramite un altro partner con cui lavoravo o che conoscevo, tramite colleghi che erano nel mio stesso settore o con una ricerca sul web.

La fase di ricerca può essere lunga (nessuna fretta!) e dipende molto dal tipo di aspettative che abbiamo in mente.

Prima di cominciare la ricerca, conviene mettere su carta l’obiettivo minimo che ci prefiggiamo di ottenere. Questo aiuta a dare una dimensione e a linearizzare la nostra aspettativa. Anche se lo schema è inizialmente basico, non preoccupiamoci. Esso si arricchirà poi, mano a mano, lavorando sul progetto. 

Preparare l’incontro

Un  aspetto importante è quello di fornire al potenziale partner  tutte le informazioni sulla nostra azienda e qual è lo scopo della nostra ricerca.

Sarà opportuno preparare un piccolo documento di briefing, dove riassumiamo chi siamo, cosa facciamo, qual è la nostra posizione nel mercato, quali sono i nostri prodotti o servizi, come siamo strutturati, come comunichiamo all’esterno e chi sono i nostri competitor.

La ricchezza del dettaglio varierà secondo chi stiamo scegliendo. Queste informazioni saranno però molto utili all’agenzia o al professionista, perché gli permetterà di tagliare un’offerta iniziale su misura della nostra azienda e delle nostre richieste.

Anche se può sembrare scontato, nelle vostre richieste chiedete se hanno avuto esperienza con aziende simili (o assimilabili) alla vostra, in modo da poter valutare quello che hanno fatto e come lo hanno fatto.

Se siete incaricati di cercare il partner per introdurlo poi allo staff aziendale per l’effettiva presentazione della proposta, un altro consiglio è quello di fare una mini riunione prima dell’incontro principale, per chiarire dubbi, vedere se la direzione intrapresa è giusta ed evitare problemi durante il pitching ufficiale.

Quanti?

Eccetto casi particolari, fate in modo di avere colloqui con più di due professionisti o agenzie, in modo da poter confrontare le varie proposte e capire quali sono i punti differenzianti.

Dopo il primo giro di colloqui con i potenziali partner, che chiarirà il modo in cui intendono aiutarvi, il mio suggerimento è di fissarne un altro, in modo da poter approfondire in maniera più efficace quei punti che vi sono sembrati più importanti o che sono emersi durante la prima fase e che non avevate valutato in precedenza.

Se le modalità lo permettono, mettete in pista anche una piccola prova, in modo da poter controllare la qualità ma anche capire come l’agenzia si relaziona durante lo svolgimento di progetti.

Questo è un altro aspetto molto importante perché spesso molte cose si scoprono dopo che si è iniziato a lavorare in maniera effettiva con l’agenzia. Uno di questi, fondamentale, è il rapporto tra il loro e il vostro personale operativo.

Un altro aspetto da chiarire è quello del compenso. Questo può essere fatto quotando il progetto intero (ad esempio un supporto su un lancio di un sito web) o con un fee mensile, concordato in base ai progetti che vi aspettate di fare in quel periodo (anche qui, per esempio, con un agenzia creativa che dovrà supportarvi su campagne e lanci di prodotto nei mesi successivi).

Il fee consente un lavoro più tranquillo ad ambedue, perché è possibile una gestione facilitata nel budget della vostra azienda e assicura un compenso stabile al partner.

In ambo i casi, conviene fissare dei punti di controllo sui compensi magari ogni tre mesi, per vedere se si è in linea con quanto programmato e con il nostro budget.

Cercare il partner giusto per la nostra azienda

Perché partner?

Il coinvolgimento di un professionista o un’agenzia esterna è un aspetto molto importante nella vita della vostra azienda e bisogna trarne il massimo del valore.

Per questo, il mio consiglio è di trattare l’agenzia o il professionista come un partner, un elemento vivo dell’azienda e non un fornitore esterno.

Come si fa?

Coinvolgendoli nelle riunioni strategiche, con una pianificazione di meeting regolari, introducendoli ad altri partner che utilizzate (per esempio agenzia PR e creativa, in modo da fasarsi sui messaggi).

In questo modo il partner sarà sempre aggiornato su quello che succede nella vostra azienda e lo trasferirà nelle sue attività progettuali, tenendo conto di tutti gli elementi, evitando di risultare come un elemento alieno o che fatica a inserirsi nelle nostre dinamiche.

L’investimento di entrambi sarà quello di dedicarsi del tempo per conoscersi meglio.  Questo però frutterà sul lungo periodo, quando si ottimizzeranno i tempi dei briefing e si gestiranno in maniera veloce e precisa cambi in corsa, campagne promozionali o attività non pianificate ma necessarie per adeguare nuove strategie di mercato.

Chiedete poi di essere a vostra volta coinvolti nei processi creativi o di pianificazione, ma lasciate campo libero alla loro professionalità, per portare quell’elemento di novità necessario alla vostra azienda.

In questo modo riuscirete a valutare se avete fatto la scelta giusta e, soprattutto, darete modo e tempo al partner di capirvi e di creare le proposte su misura delle vostre richieste.

Vittorio Neri

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Portare il nostro prodotto all’estero

Per un’azienda può arrivare il momento in cui decide di provare a entrare, con il suo prodotto o servizio, in un mercato estero.

Ci sono diverse strategie e approcci che si possono e devono intraprendere ma in quest’articolo, in due brevi punti, vorrei concentrarmi principalmente su come presentare il prodotto sui canali digitali dell’azienda.

Il copywriting in lingua (e cultura) locale

Spesso il copywriting è la parte più importante per presentare un prodotto. Ma anche una parte dove si cade spesso in qualche passo falso.

Se è vero che la maggior parte degli incontri tra domanda e offerta avviene inizialmente sul web e che le intenzioni di acquisto sono influenzate da quanto un’azienda mette in rete, padroneggiare bene questo spazio con i giusti testi è vitale.

L’approccio più naturale è quello di prendere il nostro materiale in lingua italiana e tradurlo nella lingua che ci interessa. Quindi, per esempio, traduciamo in inglese il nostro materiale che usiamo nel mercato italiano.

Per motivi di tempo o di budget, ci si affida a traduzioni o a traduttori locali, cha magari conoscono bene la lingua ma mancano della contestualizzazione del messaggio nella cultura del mercato a cui ci rivolgiamo o magari non conoscono a fondo il nostro prodotto e lo spirito che lo anima.

In questo modo, un italiano tradotto in un inglese perfetto non sarà mai come l’inglese che ci si aspetta da chi vive in Inghilterra, in Australia o negli Stati Uniti e il nostro messaggio ne risentirà, appiattendosi su un’indefinita descrizione del prodotto o del servizio.

Le informazioni dal mercato estero si cercano sul web prima di contattare l'azienda.

Usare un metodo diverso per i nostri testi

Parliamo allora non più di semplici traduzioni (che di solito funzionano al contrario, nel tradurre cioè una lingua straniera in italiano) ma di transcreazione. Prendere cioè le caratteristiche del nostro prodotto e della nostra value proposition a ricrearle completamente in un’altra lingua, mantenendone inalterato lo spirito.

Giusto per farvi un esempio banale ma significativo. Vi è mai capitato di acquistare un prodotto e leggere delle istruzioni tradotte in un italiano che ricalca perfettamente nella costruzione l’originale inglese? Vi ricordate la strana sensazione di spaesamento che avete provato?

Beh, questa sensazione la trasferirete immediatamente sul prodotto, classificandolo interiormente come “altro” da voi, semplicemente “adattato” al nostro mercato e alle nostre esigenze. Il tutto per una traduzione mal fatta! Con tanti saluti alle strategie di marketing che quel brand aveva messo nel promozionare il prodotto.

La transcreazione o contestualizzazione del messaggio in un’altra cultura è un concetto fondamentale per promuovere un’idea, un prodotto o un servizio a una audience internazionale. Un po’ quello che fa McDonald nella sua proposta in Italia (e non solo per il testo, come vedremo nel paragrafo sotto).

Con la transcreazione, parlerete non solo la lingua del paese a cui vi rivolgete ma la parlerete nel modo in cui la si parla in quel paese, con la sua struttura, modi di dire, di ritmo e di aspettative culturali.

Per questo il mio consiglio è di spendere un po’ di più ma rivolgersi ad agenzie di traduzione e copywriting italiane che fanno questo tipo di servizio, probabilmente usando partner locali. Controllerete che il “messaggio” che volete comunicare sia preservato, grazie al fatto di poter parlare in italiano con l’agenzia,  ma vi assicurerete che sia tradotto e impostato nella giusta maniera.

L’italianità nella comunicazione all’estero

Se contestualizzare, tramite un buon testo, il prodotto, il messaggio o il servizio per essere recepiti credibili nella cultura locale, è fondamentale anche preservare è “l’italianità” degli stessi.

Checchè se ne dica in patria, il nome Italia all’estero evoca sempre cultura, classe, design, eleganza, buona vita. Qualsiasi sia il prodotto o il servizio, il mio consiglio è sempre di evidenziare, ove possibile e senza falsare il messaggio, tali aspetti.

Non si viene in Italia in cerca di cose gradevoli. […] Ci si viene in cerca della vita.

Edward Morgan Forster, Camera con vista, 1908

I valori dell'Italia debbono essere trasferiti sui prodotti quando si approccia un mercato estero

Un esempio (stravisto!) di come questo si possa fare anche nei modi più creativi è certamente quello che fece FIAT un po’ di tempo fa per promuovere la 500 negli Stati Uniti, con dei video che veramente centravano il punto.

Lo si può fare con uno storytelling sull’azienda, supportato da video e da fotografie che richiamano tali atmosfere oppure da citazioni. Se il prodotto lo permette, si possono creare dei collegamenti tra gli aspetti italiani e quelli del luogo a cui ci si rivolge.

Lo si può fare evidenziando alcuni aspetti di design dell’oggetto, del luogo e della storia dove il prodotto nasce, oppure del luogo dove l’azienda risiede o del fondatore.

Anche se possono sembrare cose scontate nel mercato italiano (ma neppure tanto), sono apprezzate nei mercati esteri, anzi, ci si aspetta che qualcosa che venga dall’Italia abbia nel suo DNA quello che definisce l’Italia all’estero nelle menti dei nostri potenziali clienti.

Occhio quindi anche alla parte visuale. Riprodurre gli oggetti o i prodotti in ambienti che trasmettono il feeling di una italianità che diventa facilmente acquisibile tramite il prodotto o il servizio da parte del potenziale cliente può fare la differenza rispetto ad altre proposte concorrenti.

Vittorio Neri

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