Quali sono i trend di business e di marketing che potranno diventare più concreti nel 2022? Quali di essi saranno più rilevanti e investire l’intera azienda?
A fine anno assistiamo alla pubblicazione di tanti report di previsioni e tendenze da diverse agenzie e aziende (soprattutto d’oltreoceano) che tentano, in base ai dati raccolti negli anni precedenti, di capire che traiettoria il nuovo anno prenderà e cosa sarà possibile che si avveri.
Trend e tendenze infatti maturano nel tempo e si consolidano quando l’adozione degli stessi supera un determinato punto critico.
Per me, l’aspetto più importante sono le domande che tali tendenze suscitano e come le riflessioni che ne conseguono possono eventualmente cambiare il modo di fare di un’azienda.
Di seguito ne trovate sei per me più stuzzicanti, rimandandovi per gli approfondimenti ai link alla fine dell’articolo (sono gli stessi dell’articolo, ma così non interrompete la lettura cliccando gli hyperlink).
1 – Essere o non essere. Lo scopo di un’azienda. Chi è, cosa fa, perché lo fa
Lo scopo che un’azienda ha e del perché essa esista è un concetto chiave che definisce come essa si si pone davanti al mondo, ai clienti, ai potenziali clienti, ai partner e ai propri collaboratori.
Ci sono aziende che hanno fatto della loro missione un aspetto che travalica il puro business (vedi Starbucks con “to inspire and nurture the human spirit – one person, one cup and one neighbourhood at a time”) e comunque mission e vision sono (o dovrebbero essere) riferimento per tutte le strategie che si fanno poi a catena.
Non solo profitti dunque, ma una posizione nella società e nel contesto in cui si opera riconoscibile nel modo in cui l’azienda o l’imprenditore si relaziona con il mercato e che traspare chiaramente nelle azioni.
Secondo Deloitte, nel 2022 tale approccio dovrebbe assumere una maturazione più marcata anche perché, aggiungo io, la nostra sensibilità verso ciò che ci circonda, persone e ambiente, è molto cambiata e se possiamo scegliere, non ci accontentiamo solo di un presso basso o di una determinata caratteristica ma scegliamo un brand che ci dia qualcosa in più e si integri con il nostro sistema di valori.
Proprio la definizione dei valori, dello scopo, dell’ethos e dell’impatto che essi possono avere sulla società diventano un parametro importante per ogni tipo di azienda, dalle più piccole alle più grandi, che può esprimersi in diversi modi, come si vede nei prossimi paragrafi.
Capiamoci bene. Io sono sicuro che prezzo e qualità sono ancora i driver primari di scelta, ma nella stanza della trattativa, quando prezzi, servizi o tecnologie sono simili o allineate, allora il fattore scopo assume una rilevanza strategica, soprattutto se è attivamente praticato all’interno (stakeholder) e all’esterno (Customer Experience) dell’azienda.
Giusto per vedere come vanno le cose al di fuori del perimetro aziendale e come tale esigenza è avvertita nei consumatori, ancora Deloitte, che cita l’Edelman Trust Barometer, il 68% dei consumatori ritiene di avere la forza necessaria per far cambiare un’azienda mentre l’ 86% si aspetta che i CEO prendano una posizione chiara sui temi sociali.
Infatti, come dice Alec Ross nel suo ultimo libro “I furiosi anni venti” le aziende possono influenzare e dirigere i cambiamenti nella società molto più velocemente che il settore pubblico o dei governi citando Walmart e la sua decisione di vendere solo prodotti sostenibili.
Certo che bisogna considerare la nostra realtà locale. A proposito di questo, l’ultimo rapporto del Censis ci consegna un’Italia fragile e impaurita del futuro. Cosa che la pandemia ha solamente aggravato perché alcuni segnali erano già chiari prima del 2020.
Considerando ciò, proprio ai brand, alle aziende, agli imprenditori e alla loro capacità di prospettiva e valoriale spetterà un ruolo importante per esprimere tale direzione, proprio appunto con uno scopo chiaro e socialmente importante. Una cosa che credo arricchisca sia il consumatore che l’azienda stessa.
Se volete leggere una storia davvero bella a questo proposito, guardate cosa fa Dallara nel creare qualcosa di bello e di grande.
Il che ci porta all’altro trend del 2022: la sostenibilità e la responsabilità aziendale.
2 – Sostenibilità e responsabilità aziendale
Sostenibilità, responsabilità e senso di comunità. Questa tendenza richiesta implicitamente o esplicitamente dagli attori sociali ai brand e abbracciata più o meno volontariamente da essi, sembra sempre più consolidarsi a livello mondiale, specialmente nel 2022(vedi Hubspot oppure IBM ), anche a traino di quanto sopra detto.
Non importa se parliamo di piccole aziende o grandi marchi, l’attenzione agli altri, all’ambiente, al modo in cui i prodotti vengono fatti e al tessuto territoriale diventa parte delle strategie comportamentali di un’azienda.
Fare del mondo e della propria azienda un posto migliore lavorando su aree dove effettivamente si può agire non è impossibile e comunque è un aspetto che fa la differenza tra un brand e un altro, tra un’azienda e un’altra e ne permette lo sviluppo a lungo termine.
Personalmente credo che ciò non riguardi il vincere negli affari (o almeno non solo), ma il coinvolgimento delle persone dell’azienda in attività sociali porta a condivider i bisogni ed è una cosa che arricchisce e cambia il modo di porsi di fronte al mondo.
Senza cercare attività mirabolanti, tali azioni spaziano dalla collaborazione con realtà no profit (uno dei trend suggeriti da Forbes), locali o nazionali alla cura dei processi aziendali nell’ottica della sostenibilità, dalla collaborazione con il territorio nel proporre o supportare eventi culturali o di crescita (scuole o università), così come nell’attenzione rivolta alla crescita dei collaboratori con politiche d’inclusione e percorsi di crescita professionali.
Di nuovo, questo è un valore se permea e cambia lo spirito delle persone dell’azienda. Se rimane di facciata, ha vita breve e suona come una moneta falsa.
3 – Crescita dei collaboratori (Employee Activation)
Molto legato a quanto detto sopra, è il concetto di Employee Activation, riportato in un articolo del sito del Marketing Insider Group sulle tendenza per il 2022.
In poche parole, significa la disponibilità delle persone dell’azienda ai bisogni del cliente o del potenziale cliente. Una banalità direte voi. Scontato che ciò accada. Non sempre e oggi ciò è ancora più importante.
L’ampia possibilità di scelta per i clienti nel mercato, le informazioni disponibili in rete (simmetria informativa), l’equivalenza già sopra citata di molte tecnologie in termini di performance, danno un posto primario all’efficienza e all’empatia verso i clienti e i potenziali clienti nel servizio offerto dalle aziende, prima e dopo l’acquisto. Una sensibilità e una disponibilità verso l’altro reale e genuina.
Come detto, ciò dovrebbe essere già parte della Customer Experience (il report della PWC cita il 73% delle persone dove l’esperienza con il marchio è un fattore importante nella loro decisione d’acquisto), però accade che l’azienda si prodighi tanto per aumentare la presenza nel mercato a scapito di una crescita parallela nel servizio clienti (il famoso streching dell’azienda che cresce rapidamente ma non così la sua struttura).
Oppure si è semplicemente stanchi o presi dalla routine. Può accadere. Ma l’altro deve tornare al centro il prima possibile. Proprio guardando un video di Dan Pink, egli parlava della sedia vuota, cioè di tenere una sedia vuota che rappresenta il cliente in ogni momento dell’azienda, dalle strategie alle azioni più comuni. Un pratico “memorare” sul mondo che c’è fuori.
Per questo, l’investimento delle aziende sui propri collaboratori per lo sviluppo delle competenze e della capacità di relazionarsi con il pubblico a ogni livello aziendale (le famose soft skills), è cruciale per completare l’approccio di un brand al mercato.
Di nuovo, secondo Marketing Insider Group, questo sarà uno degli elementi più rilevanti nel 2022, insieme all’esperienza utente senza frizioni e pertinente alle esigenze della persona. Niente di nuovo sotto il sole quindi, ma un input concreto sotto forma di trend utile per farci una ragionata.
4 – La gestione del canale e la PX
Secondo Forrester, la riconsiderazione dei canali di vendita da parte dei brand è uno dei trend più importanti nel 2022.
Questo approccio è chiamato PX (Partner Experience) alla stregua della UX (User Experience). L’ecosistema dei partner, soprattutto nel B2B, è da riconsiderare come creatori di valore e non box-mover o partner con scarso valore aggiunto.
Chi non è d’accordo con questa definizione? Chi è nel B2B lavora spesso con due tipologie di clienti, il canale e l’utente finale. Spesso si tende a dimenticare il primo perché ci si focalizza molto sul secondo.
Però è anche vero che, se il canale non costruisce un valore proprio di esperienza e di supporto, al di la del prodotto che vende e che tende inevitabilmente a commodity, esso verrà bypassato dall’e-commerce.
Se il servizio e il supporto non c’è o è minimo (il discorso dell’Employee Activation vale anche per essi), perché acquistare da un rivenditore?
Uno degli esempi di tale cambiamento è nell’automotive.
Qui sta avvenendo una ristrutturazione dei canali di vendita, con concessionari che cambiano volto e diventano agenzie, con modelli di remunerazione basati su commissioni. Chi avrebbe mai detto che acquistare automobili online sarebbe diventato realtà? Eppure il 63% di una ricerca Google negli Stati Uniti considererebbe di acquistare un’auto online.
Questo dovrebbe introdurre prezzi chiari stabiliti dalle case, senza il “traccheggio” del cliente da un concessionario all’altro con il concessionario/agenzia che dovrebbe diventare fornitore di expertise e di supporto tecnico durante e dopo l’acquisto (ci sono anche altre soluzioni ibride considerate dai marchi).
Ciò porta le case automobilistiche ad avere un rapporto diretto con il mercato, non intermediato dal canale, farsi carico dei costi di magazzino e di stoccaggio e gestire anche le vendite tramite e-commerce (modello Tesla).
In molti casi, la soddisfazione del cliente potrà essere legata alla remunerazione dell’agenzia (anche se oggetto di discussione) per aumentare la fidelizzazione del cliente, il cross-selling e l’upselling.
In ogni caso, un cambiamento che lascerà il segno e che si concretizzerà a partire dal 2022 perchè sono rivoluzioni (o evoluzioni) grandi che impattano in maniera importante.
E’ chiaro che esperienza, cortesia, consulenza, disponibilità non tenderanno mai a commodity, delineando il percorso su cui investire nei prossimi anni, sia per le aziende che per la rete commerciale.
5 – Intelligenza artificiale e contenuti
Nel marketing l’intelligenza artificiale sta diventando più accessibile e alla portata delle aziende e nel 2022 questo approccio dovrebbe compiere un passo in avanti. Questa tendenza è praticamente riconosciuta da tutti ed è solo una questione di tempo perché essa si democratizzi e diventi di uso quotidiano.
Attività come l’analisi avanzata, la SEO e l’identificazione delle keyword più remunerative, le gestione di campagne mirate, la distribuzione di contenuti che convertono di più, la creazione di pubblici altamente profilati è ormai realtà (si pensi ad esempio ai software CDP, acronimo di Customer Data Platform, in grado di tracciare i customer journey delle persone, nel rispetto della GDPR, e di poter generare la distribuzione di contenuti altamente attinenti alle necessità e ai gusti delle persone), l’assistenza predittiva post vendita.
L’AI sta diventando protagonista anche nel Marketing Conversazionale, cioè il dialogo tra utenti e aziende fatte da chatbot evoluti, che si configurano in automatico secondo le domande e i comportamenti delle persone, ad esempio sui siti web, con un salto avanti notevole rispetto a chatbot che lavorano su Playbook o percorsi IF/THEN definiti (molto diffusi ma sicuramente validi ma meno flessibili di quelli basati su AI e Machine Learning).
Queste piattaforme di marketing conversazionale imparano e assumono un linguaggio naturale, proprio per evitare quella sensazione di distonia tipica di chatbot meno evoluti.
Da notare che, secondo Forrester, l’engagement digitale diventerà persistente, o in gergo “always-on” e adottata dal 70% dei marketer.
Per far questo, si farà sempre più ricorso ad automazioni digitali per gestire il funnel, i follow-up e le conversioni.
Ma Forrester avverte anche che, il 75% degli sforzi potrebbe non raggiungere lo scopo, a causa della non sufficiente personalizzazione dei contenuti, derivanti dalla mancanza di uno studio serio sulle personas e i comportamenti d’acquisto. Il che ci porta al prossimo trend.
6 – Cookie, dati e AI
Coma ampiamente anticipato nei mesi scorsi, il 2022 vedrà la progressiva scomparsa dei cookie di terze parti. Google dimetterà infatti l’uso dei cookie entro due anni, cosa che Safari e Firefox hanno già fatto.
L’uso di tali cookie è per la profilazione e la creazione di annunci pubblicitari mirati e possono essere “letti” da altri siti, a differenza dei cookie di prime parti, generati dal sito in cui si sta navigando e leggibili solo da quel sito stesso.
Se vendo impianti fotovoltaici, è utile sapere se la persona ha già visitato un sito differente dal mio che ne parla.
La diminuzione e la scomparsa di questi cookie si rifletterà sulle advertising digitali (retargeting), costringendo le aziende a lavorare molto sull’esperienza utente tramite i cookie di prime parti, la qualità dei contenuti e quella degli eventi, fisici, digitali o ibridi.
Questo legato a una conoscenza delle audience grazie alla raccolta dati, alle interviste, allo studio dei clienti esistenti e del marcato in cui si lavora.
Secondo The Drum, il lavoro sui dati di prime parti, non solo provenienti dal sito ma combinati con gli altri touch-point e attività che l’azienda attiva durante il customer journey, diventa fondamentale per le personalizzazione dell’esperienza utente.
The Drum suggerisce anche di usare la gamification, ove possibile, per arricchire questo set di dati, fatta di quiz o survey mirati al prodotto o al servizio che si vuole spingere. Contenuti interattivi che danno informazioni sensate ma permettono un approccio più facile (vedi Outgrow).
A tal proposito, secondo Deloitte il 61% delle aziende con crescita molto marcata stanno già muovendo le loro strategie su dati di prima parte, fornendo content dinamici personalizzati e advertising programmatiche.
A prescindere da questo, a livello marketing rimane fondamentale l’uso di esperienze personalizzate online e offline, la creazione di relazioni vere con le persone, i gruppi e le community, così come la digitalizzazione delle attività (marketing automation, CRM, CMS, DAM, marketing conversazionale, content dinamici, Analytics, Data Visualisation) e la centralizzazione dei dati utente su piattaforme (CDP).
Concludendo
Fare previsioni su quello che sarà è arduo, soprattutto di questi tempi. E’ innegabile però che alcune linee di tendenza sono marcate e altre seguiranno sulla scia di queste.
Non cambia l’interesse genuino verso l’utente, verso le proprie persone, la curiosità, l’innovazione, l’ascolto e l’amore con cui si fanno le cose. Anzi, se si è già su questa strada, le nuove tecnologie e tendenze saranno solo un vantaggio o un’opportunità.
Sorgenti
Foto di copertina di Johannes Plenio su Unsplash